DALL’ECCEZIONE ALLA MARGINALITA’

Il seminario che la cattedra
Unesco di Educazione, Crescita, Uguaglianza dell’Università di Ferrara ha
tenuto a Fabriano il 18 e 19 giugno scorsi ha dibattuto delle cosiddette “aree
marginali” nelle regioni sviluppate (Marginal Areas in Developped Areas).
Una due giorni molto intensa
con studiosi e allievi impegnati a confrontarsi su un tema che ha a che fare
con la società digitale che sta avanzando e che comunemente consideriamo
sinonimo non solo di innovazione, ma di potenziale accessibilità per tutti alle
opportunità che le nuove tecnologie offrono.
In realtà, le cose non stanno
esattamente così e la questione non riguarda tanto il digital divide,
ossia la mancanza di abilità digitali da parte di cittadini e fasce sociali (ad
esempio gli anziani o gli over 50), quanto il fatto che la società digitale
produce delle polarizzazioni territoriali, ossia dei processi di concentrazione
e marginalizzazione di territori, comunità, persone.
Questi processi hanno a che
fare con almeno due questioni: le nuove tecnologie digitali sono nate per
gestire economie di scala, grandi numeri, big data, anche se tutti possiamo
usarle, ed hanno un rapporto ombelicale con la finanza, che è stata decisiva
per la loro affermazione e diffusione.
Basti pensare all’ascesa delle
“sette sorelle” del Web (Apple, Microsoft, Google-Alphabet, Amazon, Nvidia,
Tesla e Meta-Facebook) e al fatto che ciascuna di esse è divenuta un player
monopolista globale con fatturati che sopravanzano quelli di più Stati
nazionali messi insieme.
Tra l’ideologia delle smart
cities e delle metropoli e la retorica dei borghi vi è tutto un mondo, che
recentemente Arturo Lanzani ha definito nel caso del nostro Paese “l’Italia di
Mezzo”, ovvero la “provincia” italiana, che vive in maniera contraddittoria la
trasformazione indotta dalla società digitale.
Il punto è che la testa di
questa nuova società della conoscenza e dei servizi è contemporaneamente
dappertutto e in nessun luogo ed essa ha bisogno di una intelaiatura sociale e
territoriale che risponda a determinati criteri. Il primo di questi è la
presenza di competenze digitali, in particolare di giovani formati al loro uso,
di luoghi dell’educazione e della formazione che preparano il capitale umano necessario
allo sviluppo di quel tipo di economia; il secondo criterio è la capacità dei
territori di attrarre investimenti, creando le condizioni affinché qualche
astronave multinazionale atterri nella speranza che si ancori alla realtà; il
terzo criterio è la presenza in loco e l’intervento di attori industriali e
finanziari capaci di implementare e sviluppare le nuove forme di economia e di servizi.
È del tutto evidente che i
contesti urbani sono avvantaggiati nell’alimentare ed intercettare simili
dinamiche, ma possono esservi anche territori in ascesa o città che - nonostante
un ricco passato - rimangono ai margini di questi processi e decadono.
Se guardiamo allo scenario
mondiale, ad esempio, dobbiamo registrare che il settore manifatturiero, che ha
fatto la ricchezza delle nazioni fino a tutto il secolo scorso, è in grande
ritirata, tranne che in Cina dove la sua crescita sta evolvendo in direzione di
un protagonismo nelle nuove tecnologie digitali. Gli Stati Uniti, che pure
hanno fatto grandi sforzi per rianimare l’industria, pensano di tutelarsi con i
dazi, mentre l’Europa, che ha mancato l’appuntamento con l’economia digitale, prova
a rilanciare in chiave ecosostenibile il suo apparato industriale tra spinte
federaliste-innovatrici e controspinte nazionaliste-conservatrici.
In questo quadro il nostro
Paese, che resta la seconda manifattura europea, sconta grandi difficoltà di
innovazione e crescita del proprio apparato produttivo, appare recalcitrante
nel perseguire le transizioni digitali e verso la sostenibilità e subisce una
polarizzazione che non risponde più alla storica frattura tra centro-nord e sud,
ma vede crearsi dei “sud” all’interno del centro-nord e, viceversa, isole di
“nord” nel Mezzogiorno.
Le aree marginali in regioni
sviluppate sono esattamente questo: territori la cui analisi dinamica in
termini economici e sociali registra una progressiva perdita di status e di
funzione nell’ambito delle economie regionali o interregionali di cui fanno
parte.
Un caso di studio ha
riguardato una serie di Comuni dell’asta del fiume Po che, pur facendo parte di
Regioni sviluppate come l’Emilia-Romagna, la Lombardia e il Veneto, sono
interessati da fenomeni di marginalizzazione, interpretati non alla maniera
della SNAI, cioè per la loro distanza dai centri di servizi fondamentali, ma
attraverso l’incrocio di indicatori statistici riferiti alla popolazione.
Un altro caso studio ha
riguardato le Marche e più nello specifico Fabriano per la grande tradizione
manifatturiera. Le Marche, la piccola regione che da eccezione di
imprenditorialità, dinamismo e coesione sociale fino a prima della grande crisi
del 2008-2012, finisce per subire una progressiva marginalizzazione a causa
della perdita di peso specifico del suo apparato produttivo manifatturiero, fatto
di piccola impresa poco incline all’innovazione e di distretti messi fuori
gioco dalla globalizzazione.
Fabriano, infine, la città
delle aree interne e il luogo di elezione della grande impresa marchigiana, che
da centro propulsore di un modello imprenditoriale e di organizzazione politico-territoriale,
registra man mano il venir meno della propria eccezione, dando vita ad una
casistica da manuale delle vicende industriali del Paese degli ultimi trenta
anni.
Una sorta di microcosmo che ha
potuto esporre, in maniera magistrale e drammatica al tempo stesso, la storia
delle privatizzazioni dell’industria pubblica nazionale (Cartiere Miliani), il
fallimento delle industrie contoterziste insidiate dalla concorrenza dei Paesi
emergenti (Antonio Merloni), la fine delle multinazionali tascabili cadute in
mani estere (Indesit) e delle banche del territorio (Carifac) assorbite dai
giganti del credito, fino alla crescita prudente e di successo delle storie
imprenditoriali che hanno saputo incrociare ricambio generazionale e competenze
necessarie (Ariston Group).
Con una consapevolezza in più per
tutti e cioè che oggi non si sta nel mondo perché si viene da un luogo, ma si
sta in un luogo in quanto si abita il mondo.
Casi studio, infine, che
evidenziano alcuni limiti di fondo da affrontare se si vuol far parte della
società digitale e scongiurare un destino di marginalità: investire
nell’educazione e nella formazione; puntare sulle polarità che assolvono a una
funzione urbana anche quando parliamo di aree interne; rafforzare i fattori di
sistema a livello regionale, soprattutto nell’ambito dell’organizzazione dei
servizi e delle infrastrutture, e le connessioni qualificate a livello
interregionale (centro-nord); stimolare l’evoluzione della manifattura verso i servizi
innovativi.
Facile a dirsi, difficile a
farsi per una impresa come quella marchigiana e una regione che della
manifattura non potrà fare a meno. A meno di un cambio di passo e, soprattutto,
di prospettiva.
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