UNA ZES PER LE REGIONI IN TRANSIZIONE

        

L’annuncio del licenziamento di 195 lavoratori da parte del Gruppo Fedrigoni e le incertezze che aleggiano sul settore dell’elettrodomestico hanno rilanciato la necessità di individuare strumenti di facilitazione e attrazione di investimenti per l’area del cratere sismico, per l’entroterra regionale e per le stesse Marche.

Lo status di regione in transizione che le Marche condividono con l’Umbria renderebbe entrambe le regioni idonee ad ospitare una Zona Economica Speciale (ZES) o una Zona Logistica Semplificata (ZLS) e il tema è tornato in tutti i documenti istituzionali che stanno accompagnando la vertenza del distretto fabrianese e che sono stati inviati al Governo.

Le prossime riunioni convocate al Ministero del Made in Italy, il 4 novembre per la vertenza Giano 1264 e il 7 dello stesso mese per la situazione degli stabilimenti italiani Beko, rappresentano delle occasioni per mettere sul tavolo non solo gli aspetti occupazionali e industriali, ma anche la necessità di adottare normative e strumenti capaci di contrastare la de-industrializzazione e lo spopolamento di territori in difficoltà.

La questione è resa ancora di più pressante dal fatto che ormai tutto il Sud del Paese è divenuto una unica Zona Economica Speciale, gestita da Roma attraverso una sorta di riedizione della Cassa del Mezzogiorno che ha suscitato non pochi dubbi. Una partita di non facile attuazione, ma comunque una realtà che agevolerà dal punto di vista economico, fiscale e burocratico gli investimenti in una grande area del Paese, confinante con le Marche e l’Umbria e che include una fetta del cratere sismico del 2016.

Più a nord è di qualche settimana fa l’approvazione da parte del Consiglio dei Ministri della Zona Logistica Semplificata che fa capo al porto di Ravenna e comprende 28 Comuni, 9 province, 11 nodi intermodali fino a Piacenza e le principali aree produttive commerciali della regione Emilia-Romagna. In tutto sono 7 le ZLS nel nostro Paese e riguardano tutte le regioni del centro nord che hanno lo sbocco sul mare ad eccezione delle Marche.

Marche e Umbria, pur essendo titolate, arrivano ultime e restano letteralmente nel mezzo, correndo gravi rischi sia in termini di fuga delle imprese che di mancati potenziali investimenti. Già l’Autorità portuale del Medio Adriatico, che ha sede nel porto di Ancona, ha dovuto subire nel recente passato lo smacco dell’istituzione della ZES abruzzese con porto di riferimento quello di Ortona. Ora si troverà ancor più stretta e indebolita tra il sistema emiliano-romagnolo con capofila Ravenna e i porti del Sud, con inevitabili ripercussioni sulla stessa piattaforma logistica costituita da porto-aeroporto-interporto-ferrovia.

Ci sarebbe molto da dire su presunti cambi di passo e filiere istituzionali, ma non volendo cedere alla polemica, bisognerebbe almeno rallentare una campagna elettorale iniziata anzitempo e dedicarsi veramente a quel che serve e si potrebbe fare.

La casa brucia e i treni passano. Non c’è nessun segnale che la grande impresa pubblica, o quel che rimane di essa, voglia investire nel cratere sismico. Merito a Diego Della Valle, unico imprenditore che in controtendenza ha creato una realtà produttiva nuova in area sisma. Merito ad Andrea Bocelli, la cui Fondazione si è spesa per creare strutture e servizi di formazione. Ma nessuna impresa pubblica (Eni, Enel, Snam, Poste, etc.) ha sentito il bisogno, né è stata sollecitata a creare un’opportunità lavorativa in un’area funestata come quella dei 138 Comuni del cratere sismico del 2016.

Vedremo se almeno il Poligrafico e Zecca dello Stato vorrà fare una mossa per salvare la storica produzione cartaria fabrianese, simbolo internazionale indiscusso del Made in Italy.

Nel frattempo, si fa un gran parlare del via vai dalla Presidente del Consiglio dei Ministri di rappresentanti di grandi player globali e fondi finanziari, da Musk a Microsoft a Blackrock. Soltanto Microsoft investirà nei prossimi anni in Italia 4,3 miliardi, mentre il fondo americano Blackrock è alla ricerca di centrali a carbone e miniere dismesse per realizzare data center, come sta accadendo con un investimento di 50 milioni di euro a Predaia in Trentino nella Val di Non, nota per le mele e il grana. Nel Centro Italia non si può fare nulla? Neppure in area cratere? Soltanto nelle aree metropolitane o al Sud o nel profondo Nord? Suvvia.

Eppure, l’istituzione di una Zona speciale, economica o logistica, avrebbe un senso nelle due regioni e consentirebbe di connettere i distretti produttivi umbro-marchigiani al porto adriatico attraverso la linea di costa, la direttrice Ancona-Perugia, il sistema Quadrilatero e la Orte-Falconara, facendo dialogare gli aeroporti, le aree fieristiche e i porti del Centro Italia.

Un’ultima questione: perché non le Marche da sole? Perché restiamo, tutto sommato, una piccola regione marginale e perché insieme ad una regione molto simile a noi come l’Umbria si creerebbero sinergie interessanti. Finita la Zona Franca Urbana in area sisma, mai ottenuta la decontribuzione valida al Sud, se facciamo massa critica forse riusciamo ad ottenere quello che da soli non siamo stati sinora capaci di fare. Per fare almeno un passo avanti.

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