UNA CARTOLINA DA CAMERINO FUTURA



Camerino ha il suo piano strategico. E già questa è una notizia. Nel complicato percorso della ricostruzione, avere uno strumento che aiuta a traguardare la difficile situazione presente non è affatto inutile. Nel fuoco delle tante questioni maledettamente concrete, sapere che un orizzonte nonostante tutto esiste, aiuta ad orientarsi e a immaginare un futuro.

Il quotidiano mettere un mattone sopra l’altro trova così un senso, sicuramente da dibattere, modificare, condividere, ma un senso possibile.

Lo sforzo compiuto dal gruppo di studio e progettazione guidato da Pippo Ciorra per conto di Unicam non era affatto semplice, tutt’altro.

Avere a che fare con una città sospesa, dalla quale la vita è stata violentemente espulsa e le funzioni sono state disperse nel territorio circostante, impone l’esigenza vitale di riconfigurare un centro di gravità insieme al perimetro della nuova città che il sisma ha determinato.

Si tratta di ridare densità al centro storico attraverso funzioni tradizionali e nuove e di tessere trama e ordito all’interno del nuovo pomerio, in maniera il più possibile coerente con un’idea di città e di territorio sostenibili. L’obiettivo è fare in modo che le molteplici attività della vita, di chi abita la città, ma anche di chi la visita, possano svolgersi in maniera compatibile, ordinata e riconoscibile.

Dovrebbe essere questo - se abbiamo capito bene - il senso di quella “resilienza trasformativa” a cui il Piano sembra ispirarsi.

Il compito, già difficile, è reso ancor più complicato da uno scenario demografico declinante, per cui se è vero che a Camerino non serve un “libro dei sogni” è altrettanto vero che senza un “sogno” non si va da nessuna parte. Per dirla con Erika Jong: “Il problema è che se non rischi nulla, rischi ancora di più”.

In estrema sintesi il Piano cerca di far dialogare la lettura fisica del luogo (i tre livelli del paesaggio, del tessuto e delle infrastrutture) con i significati e le funzioni che ne determinano la vita (Istruzione, Turismo, Produzione e Cultura), mappando le relazioni tra il centro e la città estesa e facendo scaturire da questa indagine complessiva delle progettualità che puntano a dare valore aggiunto e attrattività alla città.

Il Piano non cita, ma è lecito aspettarsi che sia in coerenza con la pianificazione del principale agente e attrattore della città che è l’Università, così come non fa menzione della programmazione che un altro attore importante, la Diocesi, sta perseguendo. Questi soggetti sono stati, infatti, protagonisti nel percorso dei tavoli partecipativi che hanno coinvolto il mondo della scuola, le associazioni e i commercianti.

L’assillo del destino del centro storico e della sua rigenerazione è la cifra della proposta, ma in questo tentativo i quartieri più recenti (San Paolo, Montagnano, Mosse e Vallicelle) e la città dispersa, che si è estende verso nord, vengono chiamati in causa con l’obiettivo di dare un nome e un significato a contenitori e fasci di relazioni oggi sfrangiate e frammentarie. Da questo punto di vista, non è probabilmente un caso che manchi nel Piano una visione territoriale di scala più ampia, comprensiva cioè di quell’ampio territorio – anch’esso ferito – che a Camerino ha sempre guardato come alla città di riferimento.

Né che sia assente un’analisi socioeconomica di contesto, anch’essa importante per capire la direzione di sviluppo e le dinamiche evolutive di chi nel territorio produce ricchezza. Il giusto obiettivo della densificazione della città murata e di quella “esternalizzata” intorno ad una identità rinnovata e dettata da un nuovo sguardo, si sarebbe potuto giovare sicuramente di un ragionamento che avesse tematizzato le reti più lunghe.

Penso, ad esempio, al ruolo della città nell’ambito inter-appenninico e interregionale della nuova viabilità del Quadrilatero di penetrazione interna Umbria-Marche o quale porta d’ingresso del Parco nazionale dei Monti Sibillini. Oppure allo sviluppo della Sinclinale camerte e dell’area produttiva di Torre del Parco, dove pure stanno avvenendo investimenti importanti. Tutti elementi assenti nel Piano.

Voglio dire che l’adozione di una scala visuale più larga di quella che si ferma ai confini comunali non è affatto nemica del rafforzamento delle reti e delle relazioni, né tantomeno limitativa dal punto di vista dell’individuazione di nuovi sentieri di sviluppo e di progettualità capaci di produrre ricadute positive in linea con le finalità del Piano.

La sensazione, in definitiva, è che molti dei progetti proposti (dalla Cittadella delle Arti alla riqualificazione dell’ex-carcere, dal sistema dei parchi agli impianti sportivi e del divertimento, dalla rifunzionalizzazione delle SAE al Campus cittadino) siano di fatto il prolungamento del vero investimento strategico, che è quello che riguarda l’Università, questo caso unico di Università nelle Aree interne del Paese, considerato il motore della città e ciò che di più prezioso resta sul territorio, dopo le tante deprivazioni operate dagli uomini e dalla natura.    

La “cartolina dal futuro”, che riassume tutte le altre del Piano, mi pare - dunque - quella di un' università in forma di città. Una scommessa ambiziosa e totalizzante, che andrebbe chiamata con il suo nome.

 

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