L’ENTROTERRA TRA FABBRICHE E DICERIE
Nonostante le ferite e le
contraddizioni che vive, l’entroterra marchigiano continua a far parlare di sé.
Alcuni eventi di questi ultimi giorni ne hanno mostrato le difficoltà insieme
alla vitalità.
Lo sciopero generale dello scorso
29 novembre a Fabriano e la pronuncia del Papa all’Angelus dell’8 dicembre sono
stati due momenti di forte solidarietà con i lavoratori che a Fabriano come a
Comunanza stanno difendendo il lavoro e la prospettiva industriale dei
rispettivi territori e più in generale delle Marche.
Le Marche, appunto, una regione affetta
da quella che Antonio Calabrò ha definito una “dissonanza cognitiva”, ossia lo
scarto tra il fatto che l’Italia è la seconda manifattura d’Europa e la percezione
diffusa che la sua ricchezza derivi dal turismo. Le crisi di Fedrigoni e Beko, che
minacciano di lasciare sul campo centinaia di posti di lavoro nelle aree più
fragili della regione, hanno avuto - almeno spero - l’effetto di risvegliarle
dal sonno dogmatico in cui sono cadute.
Il tema di fronte all’Europa,
all’Italia e alle Marche è come e su quali settori si rilancia l’ambizione
industriale di un continente, di un Paese e di una regione, senza la quale si
esce dal novero delle aree del mondo che contano. Ciò vale anche per le Marche,
che nella loro lunga storia sono state sempre manifatturiere e ancora oggi
hanno una evidenza statistica per questo loro carattere, non per altro.
Innovare nei settori maturi, che
sbaglieremmo a ritenere morti, sostenere gli ambiti di specializzazione
coerenti con le nostre vocazioni, incoraggiare le sperimentazioni ad alto
contenuto di conoscenza, puntare sulla formazione e la riconversione delle
competenze in linea con i cambiamenti tecnologici, sviluppare nuovi servizi e
contenuti connessi alla produzione; in questi ambiti dovrebbero concentrarsi gli
sforzi di una regione altrimenti destinata a un processo di neo-ruralizzazione
e di definitiva marginalizzazione, senza più cervelli imprenditoriali.
L’entroterra, complice la sua endemica
debolezza, ha lanciato il messaggio, ma la questione riguarda tutto l’apparato
produttivo regionale, come dimostrano i dati sul calo delle imprese, sulla
deindustrializzazione che avanza e sulla composizione settoriale e dimensionale
delle stesse.
L’altro evento ha riguardato l’inaugurazione
del 689° anno accademico dell’Università di Camerino che ha ribadito
l’importanza di questa istituzione non solo nella ricerca, formazione e
didattica, ma anche per le prospettive delle aree interne della regione. Un
dato in particolare va evidenziato: il 57% dei laureati a Unicam proviene da
famiglie in cui i genitori non sono laureati. Molte famiglie, con sempre
maggiori difficoltà, scelgono di sostenere i propri figli all’università
sperando nella loro crescita e affermazione sociale. L’università è ancora un
ascensore sociale, cosa che spesso abbiamo dimenticato. Questa funzione
andrebbe incoraggiata, invece si tagliano i fondi al sistema universitario e i
pochi laureati che formiamo o sono costretti ad accettare lavori disallineati
rispetto alle professionalità acquisite e non adeguatamente remunerati o se ne
vanno.
Proprio guardando alla vocazione
scientifica e territoriale di Unicam andrebbe sviluppata l’idea di una
“pedemontana universitaria” che aiuti a irrobustire l’asse dell’entroterra che
va da Fabriano ad Ascoli Piceno. Gli ultimi investimenti dell’Università a
Camerino con la realizzazione del CHIP e della piattaforma Marlic, i nuovi interventi
del Recovery Art Project e dello STRIC a Torre del Parco, la presenza di
Bioscienze e Medicina veterinaria a Matelica e di Architettura e Design ad Ascoli
Piceno potrebbero suggerire di riprendere l’idea di una presenza universitaria
a Fabriano, nell’ottica di supportare il rilancio del distretto industriale e
di favorire l’integrazione non solo infrastrutturale, ma contenutistica del
cratere sismico.
Infine, l’ultimo evento è stato
l’avvio dei lavori di ricostruzione della Cattedrale di Camerino, chiesa madre della
Diocesi di Camerino-San Severino Marche. Un intervento di alto valore
simbolico, oltre che economico, che insieme al collegio Bongiovanni e al
Palazzo arcivescovile restituirà un pezzo del centro storico di Camerino a
funzioni vecchie e nuove e che lancia un messaggio a tutto il territorio che
storicamente ha avuto in quel luogo di culto il cuore di un’amplissima diocesi
oggi riunificata in persona episcopi. È stato detto, un po’ pomposamente, che i
lavori sono iniziati nel giorno in cui Notre Dame viene restituita all’umanità
dopo il devastante incendio. Il problema è che in questo caso dopo cinque anni tutto
è stato sanato. Persino la ricostruzione della stessa chiesa camerte a seguito
del sisma del 1799 ebbe inizio sette anni dopo, in un periodo che chiamare
turbolento è dire poco, in mezzo a guerre, invasioni e insorgenze. Qui siamo
all’ottavo anno. Ma, come disse Andrea Vici, l’architetto arceviese che ebbe
l’incarico di ricostruire la cattedrale camerte dopo il devastante terremoto:
“Non è poco che finalmente possa darsi principio alla Fabbrica ed il fine alle
dicerie”.
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