DALLA FINE DEL MONDO UN MESSAGGIO ANCORA VIVO
13 luglio 2015
IL CAMBIAMENTO SECONDO
BERGOGLIO
“Il futuro dell’umanità non è solo
nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto
nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro
mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento. Io
vi accompagno. E ciascuno, ripetiamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza
casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun
bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza
venerabile vecchiaia. Proseguite nella vostra lotta e, per favore, abbiate molta
cura della Madre Terra”.
Sono le parole conclusive del discorso
tenuto da Papa Francesco di fronte ai movimenti popolari della Bolivia. Un
discorso di grande potenza e di grande forza politica. Di fronte ad una platea
di realtà impegnate nella lotta per i diritti, contro le diseguaglianze, le
discriminazioni e per la crescita sociale delle comunità, delle campagne, dei
quartieri, delle aree meno sviluppate e di quelle popolose percorse dai fiumi
di denaro della criminalità organizzata, il pontefice ha svolto un discorso
imperniato sulla collaborazione tra la Chiesa e queste soggettività,
protagoniste dell’emancipazione di masse umane sfruttate ed escluse.
Ed ha parlato di cambiamento, termine
molto in voga, ma con una incisività mai udita. Sbaglierebbe chi
interpretasse le sue parole come rivolte ad una precisa parte del mondo, per
così dire in via di sviluppo. Il ragionamento non si è fermato alla realtà
della Bolivia, né a quella dell’America latina. Ha posto le coordinate forse di
una prossima enciclica sulla coscienza sociale necessaria nel terzo millennio.
Il cambiamento di Bergoglio deve essere un
“cambiamento delle strutture”, non di facciata, ed è il cambiamento che ha come
protagonisti “i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi”; “il futuro
dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani”, dice il Papa, “voi siete
seminatori di cambiamento”. Ma perché il cambiamento sia reale deve declinarsi
in un preciso “programma sociale” che sia fatto di “terra, casa e lavoro”, ma
che non si fermi a questo; deve incarnarsi in un “processo di cambiamento” che
nasce dal cuore e si realizza in azioni tenaci, umili, profonde, concrete,
senza farsi prendere dall’ “ansia di occupare tutti gli spazi di potere
disponibili e di vedere risultati immediati”.
È la sfida della costruzione di una
globalizzazione di segno diverso quella che indica Bergoglio: “la
globalizzazione della speranza, che nasce dai Popoli e cresce tra i poveri” e
che “deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza”,
dominata dalla “sottile dittatura” del denaro. L’alternativa al sistema fondato
sulla esasperazione produttivistica deve saper allargare lo sguardo alla
dimensione globale senza perdere le “radici” della “cultura dell’incontro”,
delle “dimensioni di prossimità” e del “riconoscersi nel volto dell’altro”,
radici in cui risiede il di “più” di senso che trasforma la sofferenza
individuale in azione comunitaria di riscatto e che per primi i “dirigenti” non
debbono dimenticare.
Coraggiose anche le parole di Papa Francesco
sulla proprietà privata, che, seppure stiano nel solco della dottrina della
Chiesa, la sottopongono ad uno sforzo tensivo: “Si tratta di restituire ai
poveri e ai popoli ciò che appartiene loro. La destinazione universale dei beni
non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà
antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare quando
tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei bisogni dei
popoli. E questi bisogni non si limitano al consumo”. È questo il nocciolo di
un’economia al servizio dei popoli, primo punto del suo programma sociale.
Poi il secondo punto, la risposta unitaria
contro il “nuovo colonialismo”, prodotto quest’ultimo “delle istituzioni
finanziarie e delle imprese transnazionali che si rafforzano subordinando le
economie locali e indebolendo gli Stati che appaiono sempre più incapaci di
portare avanti progetti di sviluppo per servire le loro popolazioni”. Il nuovo
colonialismo, spesso, è aiutato anche da modalità sbagliate per combattere
problemi reali e urgenti come la corruzione, la criminalità e il terrorismo ed
ha anche una sua versione “ideologica” nella “concentrazione monopolistica dei
mezzi di comunicazione”. La risposta alle nuove logiche dell’imposizione e
dell’iniquità passa attraverso “l’unità” dei popoli e degli Stati nelle Grandi
Patrie, la loro “interazione” alla pari sulla base di una “sana
interdipendenza”, e attraverso la soggettività dei movimenti popolari la cui
“unione” è come un “poliedro, una forma di convivenza in cui le parti
mantengono la loro identità costruendo insieme una pluralità che non mette in pericolo,
bensì rafforza l’unità”.
Ciò che è globale non è affatto
universale, sembra dirci Francesco, e per affermare un cambiamento che sia
realmente nel segno della giustizia e di un umanesimo integrale c’è bisogno
della carica “rivoluzionaria” della fede cristiana, “perché la nostra fede
sfida la tirannia dell’idolo denaro”. Parola di Papa Bergoglio!
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