DALLA FINE DEL MONDO UN MESSAGGIO ANCORA VIVO




È stato il Papa venuto “dalla fine del mondo”, eletto nel giorno di Sant’Ansovino vescovo pacifista e che ha scelto per la prima volta il nome del Santo di Assisi, patrono d’Italia. È stato l’autore di tre documenti pregnanti: l’Evangelii Gaudium e le encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti, che hanno lasciato un segno profondo. Ha riattualizzato il messaggio evangelico a fianco degli ultimi e dei poveri, ha introdotto i temi dell’ecologia integrale e della fratellanza nel Terzo millennio. È stato il Papa del pianeta, delle periferie esistenziali ed umane, delle solitudini (come durante la pandemia da Covid), di una Chiesa accogliente e misericordiosa, e dell’impegno per la pace. I temi della giustizia sociale e ambientale, della dignità del lavoro e della prossimità verso gli ultimi, gli sfruttati, gli immigrati e gli esclusi sono stati al centro del suo pontificato contro ogni cultura dello “scarto”. È stato il Papa che ha saputo parlare un linguaggio semplice e globale, rivolto a tutti a prescindere dall’essere credenti o meno. Per questo è stato molto amato e anche contrastato. E’ stato il Papa che ha provato a riformare la Chiesa, scuotendola dal torpore del conformismo. La sua morte avvenuta nel giorno in cui non bisogna cercare tra i morti “colui che è vivo” e durante il Giubileo in corso amplifica i contenuti del suo messaggio al mondo. Nelle Marche ricordiamo il primo Consiglio regionale d’Italia riunito nel settembre 2015 per prendere spunto dai contenuti innovatori della Laudato Si’ e la sua presenza a fianco delle popolazioni colpite dal sisma del 2016/2017 ad Amatrice e a Camerino. Speriamo che la Chiesa sia capace di raccogliere questo messaggio e di portarlo ancora più in alto. Ne ha bisogno un mondo che sta rinchiudendosi e incattivendo. Di seguito riproponiamo lo scritto del Luglio 2015 con il quale si apre “La Post Regione. Le Marche della doppia ricostruzione” (2020), dedicato proprio a Papa Francesco e alla sua idea di cambiamento umano, sociale e ambientale. Una idea straordinariamente attuale.

 

 

13 luglio 2015

IL CAMBIAMENTO SECONDO BERGOGLIO

 “Il futuro dell’umanità non è solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenze e delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nella loro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani che irrigano, con umiltà e convinzione, questo processo di cambiamento. Io vi accompagno. E ciascuno, ripetiamo insieme dal cuore: nessuna famiglia senza casa, nessun contadino senza terra, nessun lavoratore senza diritti, nessun bambino senza infanzia, nessun giovane senza opportunità, nessun anziano senza venerabile vecchiaia. Proseguite nella vostra lotta e, per favore, abbiate molta cura della Madre Terra”.

Sono le parole conclusive del discorso tenuto da Papa Francesco di fronte ai movimenti popolari della Bolivia. Un discorso di grande potenza e di grande forza politica. Di fronte ad una platea di realtà impegnate nella lotta per i diritti, contro le diseguaglianze, le discriminazioni e per la crescita sociale delle comunità, delle campagne, dei quartieri, delle aree meno sviluppate e di quelle popolose percorse dai fiumi di denaro della criminalità organizzata, il pontefice ha svolto un discorso imperniato sulla collaborazione tra la Chiesa e queste soggettività, protagoniste dell’emancipazione di masse umane sfruttate ed escluse.

Ed ha parlato di cambiamento, termine molto in voga, ma con una incisività mai udita. Sbaglierebbe chi interpretasse le sue parole come rivolte ad una precisa parte del mondo, per così dire in via di sviluppo. Il ragionamento non si è fermato alla realtà della Bolivia, né a quella dell’America latina. Ha posto le coordinate forse di una prossima enciclica sulla coscienza sociale necessaria nel terzo millennio.

Il cambiamento di Bergoglio deve essere un “cambiamento delle strutture”, non di facciata, ed è il cambiamento che ha come protagonisti “i più umili, gli sfruttati, i poveri e gli esclusi”; “il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani”, dice il Papa, “voi siete seminatori di cambiamento”. Ma perché il cambiamento sia reale deve declinarsi in un preciso “programma sociale” che sia fatto di “terra, casa e lavoro”, ma che non si fermi a questo; deve incarnarsi in un “processo di cambiamento” che nasce dal cuore e si realizza in azioni tenaci, umili, profonde, concrete, senza farsi prendere dall’ “ansia di occupare tutti gli spazi di potere disponibili e di vedere risultati immediati”.

È la sfida della costruzione di una globalizzazione di segno diverso quella che indica Bergoglio: “la globalizzazione della speranza, che nasce dai Popoli e cresce tra i poveri” e che “deve sostituire questa globalizzazione dell’esclusione e dell’indifferenza”, dominata dalla “sottile dittatura” del denaro. L’alternativa al sistema fondato sulla esasperazione produttivistica deve saper allargare lo sguardo alla dimensione globale senza perdere le “radici” della “cultura dell’incontro”, delle “dimensioni di prossimità” e del “riconoscersi nel volto dell’altro”, radici in cui risiede il di “più” di senso che trasforma la sofferenza individuale in azione comunitaria di riscatto e che per primi i “dirigenti” non debbono dimenticare.

Coraggiose anche le parole di Papa Francesco sulla proprietà privata, che, seppure stiano nel solco della dottrina della Chiesa, la sottopongono ad uno sforzo tensivo: “Si tratta di restituire ai poveri e ai popoli ciò che appartiene loro. La destinazione universale dei beni non è un ornamento discorsivo della dottrina sociale della Chiesa. È una realtà antecedente alla proprietà privata. La proprietà, in modo particolare quando tocca le risorse naturali, dev’essere sempre in funzione dei bisogni dei popoli. E questi bisogni non si limitano al consumo”. È questo il nocciolo di un’economia al servizio dei popoli, primo punto del suo programma sociale.

Poi il secondo punto, la risposta unitaria contro il “nuovo colonialismo”, prodotto quest’ultimo “delle istituzioni finanziarie e delle imprese transnazionali che si rafforzano subordinando le economie locali e indebolendo gli Stati che appaiono sempre più incapaci di portare avanti progetti di sviluppo per servire le loro popolazioni”. Il nuovo colonialismo, spesso, è aiutato anche da modalità sbagliate per combattere problemi reali e urgenti come la corruzione, la criminalità e il terrorismo ed ha anche una sua versione “ideologica” nella “concentrazione monopolistica dei mezzi di comunicazione”. La risposta alle nuove logiche dell’imposizione e dell’iniquità passa attraverso “l’unità” dei popoli e degli Stati nelle Grandi Patrie, la loro “interazione” alla pari sulla base di una “sana interdipendenza”, e attraverso la soggettività dei movimenti popolari la cui “unione” è come un “poliedro, una forma di convivenza in cui le parti mantengono la loro identità costruendo insieme una pluralità che non mette in pericolo, bensì rafforza l’unità”.

Ciò che è globale non è affatto universale, sembra dirci Francesco, e per affermare un cambiamento che sia realmente nel segno della giustizia e di un umanesimo integrale c’è bisogno della carica “rivoluzionaria” della fede cristiana, “perché la nostra fede sfida la tirannia dell’idolo denaro”. Parola di Papa Bergoglio!




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