RICOSTRUZIONI POST CALAMITA’ E PRIVATIZZAZIONE DEL DANNO



Semmai un giorno venisse fatta la storia delle ricostruzioni di questo nostro martoriato Paese, quella post sisma del 2016/2017 sarebbe senza dubbio ricordata come una delle più generose e forse anche l’ultima.

Generose furono le misure emergenziali a sostegno della popolazione, assunte immediatamente dopo gli eventi tellurici, e la decisione di ricostruire anche le seconde case, decisive per la ripresa turistica dei territori colpiti. Scelte su cui andrà rivalutata l’azione del primo Commissario straordinario alla ricostruzione Vasco Errani, che mutuò positivamente quanto già previsto per il terremoto dell’Emilia del 2012.

Quasi contemporaneamente alla gestione della prima emergenza si aprì anche un vivace dibattito sulle prospettive dell’Appennino ferito. Esso s’inseriva e trovava alimento nel rinnovato interesse per le Aree interne, suscitato dalla omonima Strategia nazionale promossa da Fabrizio Barca, e spingeva nella direzione di accompagnare la ricostruzione fisica con misure rivolte allo sviluppo sostenibile dell’entroterra, ritenute altrettanto necessarie ed impellenti a causa di un declino precedente agli eventi sismici e che gli stessi inevitabilmente accentuavano.

Fu grazie al nuovo Commissario Giovanni Legnini, insediatosi all’inizio del 2020, e alla sponda del Governo Conte II, e poi del Governo Draghi, che l’idea di strumenti di sostegno allo sviluppo del cratere sismico si fece strada e fu accolta, dapprima, prevedendo un Contratto istituzionale di sviluppo (CIS) per l’area e, poi, un programma integrato di interventi per le aree dei terremoti del 2009 e del 2016 che, inizialmente previsto nel PNRR, fu allocato nel Piano nazionale complementare e finanziato con 1,780 miliardi. Il programma Next Appennino.

Quel dibattito ebbe nelle due iniziative dei “Nuovi sentieri di sviluppo per l’Appennino marchigiano dopo il sisma” e del “Patto per lo sviluppo”, promosse rispettivamente dal Consiglio regionale delle Marche più le quattro Università della regione e dalla Giunta regionale insieme all’Istao, una sorta di raccordo dei tanti fermenti e spunti emersi dai territori e un forte stimolo dal basso all’esigenza di elaborare delle misure che accompagnassero la ricostruzione fisica dei luoghi con quella economico-sociale. Il Commissario Legnini fu abile ambasciatore della necessità di questa doppia ricostruzione presso i vertici di governo dell’epoca.

A lui si deve anche l’avvio del percorso che ha portato nelle settimane scorse all’approvazione in Parlamento del cosiddetto “Codice della Ricostruzione” (DDL 1294). Nato con l’ambizione di dotare il nostro Paese di un Testo unico sulle ricostruzioni, poi divenuto con il Governo Draghi una legge delega, ha finito con l’essere approvato come legge ordinaria, seppure con l’intento di essere una disciplina quadro in materia di ricostruzione post calamità. L’obiettivo era quello di dare finalmente al nostro Paese una normativa fondamentale per non dover ricominciare ogni volta da zero in termini di approccio, procedure e attività per ricostruire.

E’ questa l’acquisizione più importante della legge approvata, aver cioè previsto che la ricostruzione post calamità deve avere una sua disciplina che la rende diversa dalla gestione del primo soccorso e dell’emergenza, che è in capo alla Protezione civile, e che la mette al riparo da improvvisazioni, aleatorietà o mere mutuazioni di esperienze precedenti; inoltre, cosa altrettanto importante, la ricostruzione non può essere soltanto materiale e fisica, finalizzata cioè al ripristino dello status quo ante, ma deve essere anche economica, sociale e culturale.

A tal fine, facendo leva su una governance multilivello, che nel sisma del 2016 ha trovato espressione nella Cabina di coordinamento interistituzionale, di cui ora entra a far parte con funzioni rafforzate il Dipartimento Casa Italia, gli art. 24 e 25 indicano le modalità specifiche di sostegno economico. Oltre al Piano generale pluriennale degli interventi, che il Commissario è tenuto a presentare e che deve tener conto anche di esigenze di tipo economico, le misure più specifiche sono in capo al Ministero delle Imprese e del Made in Italy e riguardano la possibilità di applicare il regime di aiuto per le aree di crisi industriale, complessa e no, e di sottoscrivere con la Regione interessata un accordo di programma per l’attuazione di interventi di sviluppo economico.

Qualche perplessità suscitano, invece, gli art. 23 e soprattutto 26 finalizzati a disciplinare il concorso e le modalità di rapporto con le assicurazioni private. Anche questo è sicuramente un aspetto da trattare, ma esso s’inserisce in un contesto in cui sta diventando sempre più evidente la volontà politica di delegare la soluzione delle ricostruzioni post calamità al rapporto privatistico tra il cittadino e i soggetti assicurativi privati. L’obbligo deciso dal Governo per 4 milioni di imprese di dover procedere alla stipula di assicurazioni contro il rischio di calamità rappresenta il primo organico passo verso la mutualizzazione privatistica del danno.

Si dice che le ricostruzioni costano troppo alle finanze pubbliche e si dispone che chi riceve contributi pubblici deve impegnarsi ad assicurare il bene oggetto del finanziamento, ma è evidente che consegnare al privato la presunta risposta alle calamità naturali non farà che penalizzare le aree del Paese più fragili, le uniche dove l’obbligo in parte è già esecutivo anche sugli immobili privati e dove i costi delle assicurazioni saranno inevitabilmente più alti, diventando così un ulteriore incentivo allo spopolamento e alle disuguaglianze territoriali. Siamo sicuri di volere questo?


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