CHE COSA STA CAMBIANDO NELLE AREE INTERNE DELLE MARCHE
La vicenda Beko Europe, che sta
tenendo con il fiato sospeso circa duemila lavoratori in tutta Italia, di cui
un terzo nelle Marche, rischia, tra le altre cose, di acuire la già fragile
situazione delle Aree interne della nostra regione.
I Comuni di Fabriano e Comunanza
sono ovviamente i più interessati, ma la partita riguarda il processo di
periferizzazione che queste Aree stanno progressivamente subendo con la zona
del cratere sismico divenuta lo spartiacque del decremento demografico che fa
la differenza tra Nord e Sud anche lungo l’Appennino.
Quando si ironizza sulla proposta
di agevolare l’insediamento di giovani coppie nelle Aree interne attraverso un
contributo per l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa bisognerebbe
riflettere sul fatto che dopo il Covid l’Appennino settentrionale è tornato a
crescere contando circa 100.000 persone che sono andate ad abitarci e sono in maggioranza
italiani. A questo risultato ha contribuito anche la strategia della Regione Emilia-Romagna
(Stami) che ha incentivato la riscoperta delle aree interne e montane proprio
con misure come quella accennata.
Un risultato inedito rispetto
alla quasi secolare emorragia dello spopolamento che, invece, dal 1951 continua
senza sosta nelle Aree interne marchigiane e conosce negli ultimi anni una
nuova accelerazione, dopo la fase di declino lento e per certi versi di
relativa stabilizzazione del periodo 1971-2001.
Fa eccezione la stabilità
demografica relativa dell’area del Montefeltro-Alto Metauro, grazie alla
connessione lineare con i centri maggiori della costa pesarese-romagnola. Si
tratta dell’unica area che può mettere in campo una prospettiva di consolidamento,
sempre che la Regione voglia prendere in mano la revisione e il rilancio della
Strategia nazionale delle Aree interne (Snai) ad oggi abbandonata.
Se i 24 milioni stanziati per una
politica dei borghi, di cui in cinque anni non abbiamo visto ancora i frutti, fossero
stati usati per misure veloci e flessibili, oggi circa 1000 giovani coppie
avrebbero potuto ripopolare le Aree interne delle Marche, mettendo a frutto un
pezzo dell’enorme patrimonio immobiliare in disuso.
Il futuro di queste aree dipenderà,
quindi, non solo dalle conseguenze del sisma e dai tempi di una ricostruzione
che in questo momento sta segnando il passo, a causa dell’interregno che si è
creato tra la fine del Superbonus e il mancato tempestivo avvio del nuovo
regime dei costi parametrici, ma anche dalle nuove geografie indotte dalla
infrastrutturazione viaria del Quadrilatero e della Pedemontana e soprattutto
dai processi di de-industrializzazione in atto.
Se Fabriano resta la città delle
aree interne, fondamentale per la loro tenuta, mentre subisce gli oltraggi di
nuove crisi occupazionali e cerca di accompagnare un faticoso processo di
terziarizzazione, puntando su una centralità logistico-infrastrutturale,
tuttavia, ancora incompleta; Comunanza è il polo manifatturiero che insieme a
quello dei servizi di Amandola dovrebbe provare a drenare l’emorragia delle due
aree interne e montane dell’ascolano e del fermano.
La connessione tra le due realtà,
Fabriano e Comunanza, va quindi oltre un modello, quello dello sviluppo manifatturiero
pedemontano che ha rappresentato l’ultima idea di organizzazione e sviluppo
territoriale delle aree interne marchigiane, di cui sono stati artefici i
Merloni. Essa va persino oltre il fatto che a Comunanza si fa quel che a
Fabriano si progetta, ed ha a che fare con la destrutturazione produttiva in
atto dell’entroterra delle Marche, nonostante l’ingente investimento del
programma Next Appennino sul cui stato di avanzamento reale andrebbe fatto un
focus obiettivo.
Se aggiungiamo a questa
situazione la crisi che vive la città di Camerino, messa in ginocchio dal sisma
e con davanti a sé una lunga prospettiva di ricostruzione, e se - guardando più
a nord - ci soffermiamo sulle fragilità del sistema locale di Pergola e sul
caso Arcevia, il centro che dal 1951 ha avuto la perdita maggiore di
popolazione, ci rendiamo conto di come una politica per le Aree interne abbia bisogno
di essere presa energicamente in mano dalla Regione e messa su basi del tutto nuove.
Si tratta di riscrivere i
rapporti con le città polo di servizi, di reinvestire sulle piccole e medie
città dell’Appennino per la funzione che svolgono nei confronti dei rispettivi ampi
territori e di tematizzare sistemi locali e riordino amministrativo di 80
Comuni delle Aree interne, che diventano 140 se si considerano quelli che hanno
un calo demografico molto forte pur non essendo classificati Area interna.
Comuni che per la metà hanno una popolazione di circa 2000 abitanti e per oltre
un quarto di 1000 o meno.
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