VARCARE FRONTIERE, SCAVALCARE CANCELLI
Ci sono parecchie Marche
nell’ultimo libro di Sabino Cassese, una autobiografia intellettuale nella
quale l’autore, oltre a tratteggiare il suo percorso di studioso che lo ha
portato ad essere un giurista tra i più influenti ed ascoltati, non rinuncia a
dire la propria sul presente e a traguardare il futuro non solo del mestiere,
ma anche del Paese che ha quasi costantemente servito.
D’altra parte, a questo ci ha sempre
abituati nella sua veste di insegnante pubblico, portato ad intendere come un
dovere dello studioso quello di coltivare una société savante e a non sottrarsi
mai al confronto di merito. La chiarezza di propositi fin dalla giovane età e
una organizzazione molto rigorosa del proprio tempo e della propria attività
hanno contribuito a fare di lui una personalità prolifica, con relazioni
nazionali e internazionali estese e un punto di riferimento del diritto
amministrativo, ma più in generale della vita pubblica italiana.
“Varcare le frontiere” è il
titolo del libro che rende bene l’idea di fondo che lo percorre, quella cioè
del diritto e del giurista non confinati nella ricerca della purezza formale, del
dogmatismo e dello specialismo settoriale, ma aperti alla contaminazione e alla
trasversalità dei saperi, alla comparazione e alla ricerca dell’universalità
per svolgere al meglio la propria funzione storica e sociale, a servizio di una
realtà che muta continuamente.
Origini irpine, allievo di
Massimo Severo Giannini che egli ricorda come suo maestro e guida, nel 1957 Cassese
inizia a lavorare con l’Eni di Enrico Mattei, prima come borsista e poi come
funzionario. Chiamato da Giorgio Fuà, allora direttore dell’Ufficio studi
dell’ente, su indicazione di Massimo Severo Giannini, per occuparsi di impresa
pubblica e intervento dello Stato nell’economia, si reinventa successivamente
statistico-economista per assolvere ai problemi e alle prospettive del
personale nel piano economico dell’Eni, fino a diventare a 24 anni direttore
dell’Ufficio legislativo.
Molto belle le pagine che Cassese
dedica all’Eni di Enrico Mattei, “ambiente estremamente vivace” e libero dove
lavoravano economisti, giuristi, ingegneri, ma era frequentato anche da poeti e
filosofi, tutti con un’età media molto bassa intorno ai venti anni. Mattei era
un “personaggio di una seduzione infinita”, per dirla con Pietro Nenni, e
“operava con una visione cosmopolita, diretta ad assicurare la cooperazione
internazionale, specialmente con il Nordafrica e il Medioriente”. Era stato uno
dei capi della Resistenza, si impegnava per il Mezzogiorno e nutriva fiducia
nel futuro dell’Italia. La sua morte nel 1962 fu per quei giovani come “la
morte di un padre”, nel caso di Cassese anche per la breve distanza temporale
con la morte del proprio genitore, anch’egli cinquantenne.
Dopo la morte di Mattei e
l’abbandono dell’Eni, Cassese comincia due esperienze parallele in cui incontra
più da vicino le Marche. L’insegnamento nella facoltà di Economia
dell’Università di Urbino con sede ad Ancona, nata per iniziativa di Fuà (e con
il contributo giuridico di Cassese), e la collaborazione con gli organi della
programmazione. “Ad Ancona si concentrò in quegli anni un gruppo di studiosi
molto interessante” - ricorda Cassese – Claudio Napoleoni, Alberto Caracciolo
(autore dei “Quaderni storici delle Marche”), Alessandro Pizzorno. “Ancona era
un impluvio nel quale si concentravano molti grandi specialisti di materie
diverse”. “Fu certamente la migliore scuola di economia di quegli anni” e della
seconda parte del secolo scorso.
Giorgio Fuà e Paolo Sylos Labini
davano fiato all’innovazione nella ricerca economica, specie sullo sviluppo
dell’Italia. Cassese insegna per tredici anni ad Ancona dal 1961 al 1974 e dal
1970 succede a Fuà come Preside della facoltà economica, dopo essere stato dal
1968 al 1970 direttore dell’Istituto di studi giuridici della facoltà. Giorgio
Fuà viene esplicitamente considerato l’altro maestro e guida. A Giannini e Fuà
il libro dedica, infatti, un capitolo intitolato “I due maestri”. Di Fuà sono
ricordati i lunghi interrogatori sull’andamento delle ricerche, con
suggerimenti e approfondimenti da fare, l’impegno per gli studi sull’economia
delle Marche, dall’Issem alla fondazione dell’Istao. Fuà, come Olivetti, fu “un
utopista pragmatico” – secondo Cassese – “ingegno vigile, grande capacità
analitica, impegno costante nella ricerca e nell’insegnamento, fu maestro con
molti allievi”.
La funzione di consulente dal
1962 al 1966 per l’Ufficio della programmazione, che lavorava per la
Commissione nazionale per la pianificazione economica, e dal 1966 al 1974 per
l’Istituto di studi per la programmazione economica, lo avvicina alle tante
proiezioni concrete che scaturivano dalla “Nota aggiuntiva” di La Malfa del
1962, tra le quali l’introduzione delle Regioni, avvenuta poi nel 1970.
Proprio alla nascita della
Regione Marche Cassese ha dato il suo contributo, complice l’insegnamento
anconetano e l’impegno nell’elaborazione dello Statuto del suo primo allievo
Donatello Serrani, laureatosi in programmazione regionale quando le Regioni
ancora non c’erano e poi morto prematuramente in un incidente nel 1979. In una
intervista rilasciata al Consiglio regionale marchigiano in occasione dei 50
anni della fondazione della Regione, Cassese ha ricordato anche l’opera di
Giancarlo Mazzocchi, economista dell’Università Cattolica di Milano, che
secondo un costume tipico della Repubblica dei partiti era espressione del
pensiero cattolico, mentre egli e Serrani di quello socialista, in raccordo a
livello nazionale con figure come Massimo Severo Giannini, Leopoldo Elia e
Giuliano Amato. Il suo impegno è proseguito, poi, per quasi tutto il decennio
costituente delle Regioni con incarichi dedicati all’attuazione del
trasferimento delle funzioni dallo Stato alle Regioni (D.L. 616/77).
Tra gli artisti che hanno
attirato, invece, la sua passione per l’arte, Cassese annovera il civitanovese
Arnoldo Ciarrocchi, incisore e “autore dei più begli acquerelli delle campagne
della sua regione”. Nel 2002 Cassese ha ricevuto la laurea “honoris causa” in
Scienze dell’Amministrazione dell’Università di Macerata.
Infine, un riferimento indiretto
all’Università di Camerino attraverso la figura di Vittorio Scialoja, più volte
richiamata nel libro. Cassese riporta, in particolare, un brano di Scialoja
ripreso da Francesco Calasso nella commemorazione che ne fece a Palazzo Vecchio
a Firenze l’11 aprile del 1954, quale esempio del compito del giurista-intellettuale:
“Una sera – io allora facevo lezione d’esegesi dei testi giustinianei – ci
eravamo riuniti in una stanza dell’Università di Camerino a spiegare frammenti
del digesto. Non ci accorgemmo che l’ora era passata; sicchè, quando ci
avviammo per uscire, trovammo che il bidello aveva chiuso il cancello dell’università,
un alto e bel cancello di ferro battuto, presso la piazza. E allora maestro e
discepoli, non trovando modo di farci aprire, abbiamo scavalcato il cancello. È
un allegro aneddoto, forse un simbolo. Questo, o signori, abbiamo fatto poi
maestro e discepoli molte volte: per tutta la vita abbiamo scavalcato vecchi
cancelli”.
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