FABRIANO, UNA BREVE STORIA
Ripercorrere la storia recente
della città di Fabriano con lo sguardo rivolto alle sue trasformazioni
urbanistiche può essere il valido complemento di una riflessione che
s’interroga sulle sue prospettive culturali, economiche e sociali.
Gli ultimi 35 anni hanno
disegnato una parabola che è interessante riassumere per cercare di capire le
traiettorie a venire. Siamo aiutati in questo dal primo di una serie di incontri
del progetto “Fabriano Polyedricity” che l’Amministrazione comunale ha condiviso
con il DICEA (Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Architettura)
dell’Università Politecnica delle Marche.
Dopo le città di Ancona e Jesi,
il gruppo di ricerca “Hub for Heritage and Habitat” dell’Università ha pensato
bene di impegnare circa 150 studenti del Corso di laurea in Ingegneria
Edile-Architettura in una serie di laboratori di progettazione rivolti a delle
aree selezionate della città della carta.
La sala del Palazzo del
Podestà gremita di giovani ventenni è stato il miglior battesimo
dell’iniziativa che si protrarrà per diversi mesi con lezioni, sopralluoghi,
incontri tematici e pubblici, fino alla restituzione di alcuni progetti di
rigenerazione urbana che declineranno l’idea di Fabriano come “città
poliedrica”.
Dal 1990 ad oggi Fabriano è
molto cambiata. L’anno dell’approvazione del Piano Regolatore generale ancora
in vigore certificava una realtà in forte sviluppo economico e in espansione
edilizia, che ambiva ai 40.000 abitanti e prevedeva aree per insediamenti
produttivi anche nelle frazioni del Comune, in risposta alla fame di terra per
capannoni. Lo sviluppo costante della grande industria favoriva la nascita di
PMI e la crescita di nuovi quartieri, in linea con una stagione nazionale che
alimentava la spesa pubblica tramite il gettito degli oneri di urbanizzazione.
Il 1997, anno del sisma
Marche-Umbria, segna una prima battuta d’arresto di questa espansione. La città
è costretta a guardare al suo interno, a curare le ferite del sisma e a
ricostruire, riqualificando edifici e spazi del centro storico e intervenendo
nelle zone di completamento. All’espansione si sostituisce una introspezione fino
ad allora poco coltivata, benchè gli anni Novanta restino quelli dell’ascesa
anche in termini politici della città, sia a livello nazionale che regionale.
Le prime avvisaglie di crisi riguardano il mondo dell’impresa pubblica, coinvolta
nella stagione delle privatizzazioni che a Fabriano si traduce nella
ristrutturazione e poi cessione delle Cartiere Miliani dal Poligrafico e Zecca
dello Stato al gruppo Fedrigoni (2002).
Nel 2007 la Città si dota di
un Piano Strategico che, prendendo atto della monocoltura produttiva del
“bianco” e del tasso di occupati nella manifattura sensibilmente sopra media,
prova a diversificare i settori dello sviluppo. Sono gli anni in cui a livello
regionale si parla del “secondo motore dello sviluppo”: turismo, cultura,
ambiente, enogastronomia, come strategia di diversificazione di una traiettoria
che aveva portato le Marche ad essere la regione più manifatturiera e tra le
principali a livello europeo. Fabriano ne è la quintessenza. Ma siamo alla
vigilia della grande crisi.
Il 2008 è l’anno della crisi
dell’Antonio Merloni. Uno shock produttivo, occupazionale e politico che
investe non solo la città, ma un ampio territorio tra Marche e Umbria con
effetti occupazionali pesantissimi e inediti (circa 2.500 persone) e crea un
enorme vuoto anche urbanistico. I tentativi di rivitalizzazione dello
stabilimento di Santa Maria e il silenzio del Maragone diventano emblematici. I
vuoti e i non luoghi, di cui si prende coscienza traumaticamente, diventano
l’oggetto nel 2012 del DOST (Documento Strutturale) che cerca di ridare un
senso ad una città mai prima di allora percepita così plurale e interpretata
come un insieme di “micro-città” su cui operare delle suture, riqualificando e
riconnettendo.
La spinta nella ricerca di
prospettive di sviluppo all’insegna della diversificazione si accelera. Nel
2013 Fabriano, dopo un percorso avviato con il Piano Strategico del 2007,
ottiene il riconoscimento Unesco di Città Creativa per Crafts and Folk Art. Seconda
in Italia dopo Bologna. In linea con la sua storia industriale, artigiana e
manifatturiera, ma all’insegna della cultura e dell’innovazione come nuove leve
di sviluppo. Nel 2014 l’Indesit viene venduta a Whirlpool e un altro pezzo
della grande industria fabrianese non ha più la testa sul territorio. A cavallo
degli Anni Dieci del nuovo secolo Fabriano perde la leadership economica,
riconosciuta non solo a livello regionale, ma internazionale.
Dalla leadership economica a
quella politica il passo è breve. La crisi della finanza locale degli anni
2009-2013 si fa sentire sulla capacità d’investimento pubblico e
pubblico-privato, i processi di de-industrializzazione diventano evidenti, si
arresta la crescita demografica e la città da luogo di immigrazione lavorativa
diventa luogo di emigrazione di ex-immigrati che in zona non trovano più lavoro
stabile e di giovani che tentano altrove il proprio futuro.
Dopo la grande espansione e
gli shock della grande crisi il disorientamento è palpabile e le risposte
effimere. Il sisma del 2016 lambisce la città, ma acuisce il senso di
insicurezza. Gli Accordi di programma per la re-industrializzazione,
l’appartenenza alle Aree di crisi complessa non hanno garantito un effettivo
rilancio degli investimenti e resta la necessità di ripensare non solo i luoghi
della produzione, ma anche quelli della formazione e dei servizi (sanitari),
ricucendo le slabbrature di un tessuto urbano in cui produttivo, residenziale e
terziario non si supportano più vicendevolmente. L’elaborazione del PUMS (Piano
Urbano della Mobilità Sostenibile) nel 2018 prova a svolgere questa funzione
sul terreno della mobilità, incrociando i temi emergenti della mobilità lenta e
della sostenibilità.
La Città Creativa tocca l’acmè
di una traiettoria più legata alla qualità degli eventi che alla programmazione
e progettazione di interventi di sviluppo sostenibile e rigenerazione urbana
con l’Annual Conference dell’UCCN del giugno 2019, dedicata proprio alla “Città
ideale”. La Pandemia del 2020, però, mescola ancora più in profondità le carte;
il tema dell’abitare, degli spazi pubblici e aperti si prende la scena. La
città scende sotto i 30.000 abitanti, soglia psicologica collettiva del timore
di perdere oltre alle leadership economica e politica, anche quella
territoriale in un entroterra sempre più periferico. I grandi contenitori,
amplificati dal lockdown, finiscono per campeggiare come i simulacri di un’economia
che non tornerà più.
Prossimità, contatto con la
natura, stili di vita e di lavoro diversi pongono il tema della qualità dei
quartieri, dei servizi digitali e dell’importanza dei piccoli nuclei abitati
(frazioni). Aspetto sottovalutato in una città che è cresciuta come un continuo
mix produttivo-residenziale-terziario e che ora si trova a fare i conti con
calo demografico, invecchiamento della popolazione, centri decisionali emigrati
altrove e smaterializzazione dei processi che incidono sul tessuto commerciale
e del centro storico, ma anche sulle filiere produttive e la divisione del
lavoro.
Fabriano ha bisogno di
riallineare urbs e civitas per contrastare il declino che
si riaffaccia nella forma di nuove crisi occupazionali e alimentare
un’ambizione territoriale, anche a servizio di uno spazio urbano policentrico,
appenninico e interregionale. La redazione in corso da parte
dell’Amministrazione comunale del Documento di posizionamento strategico di
Fabriano, città allargata e città appenninica, senza avere l’ambizione di Piano
strategici faraonici e costosi si pone l’obiettivo di capire il punto in cui
siamo e quel che pragmaticamente è possibile fare, non smarrendo il ruolo
limitato dell’ente locale e al contempo l’imprescindibilità della visione.
Alcuni positivi sviluppi possono
aiutare a individuare percorsi di rilancio. L’infrastrutturazione del
Quadrilatero che va a completamento, ma che preoccupa se pensiamo alla mancata
prosecuzione a nord nel tratto Fabriano-Sassoferrato, rispetto al quale vengono
privilegiati senza coerenza logica altri segmenti. Gli investimenti finanziati
dal Programma Next Appennino che incoraggiano l’idea di una Fabriano non post,
ma neo-industriale. Il rilancio della Città Creativa Unesco che consente di
annoverare Fabriano alle medie città che svolgono un ruolo strategico in
contesti territoriali complessi e connetterla alla sfida della trasformazione
urbana sostenibile intrapresa dalle città più dinamiche del mondo.
La città che si dirada e si
svuota ha bisogno di una rigenerazione che faccia leva, innanzitutto, sulla
mobilitazione di tutte le energie in termini culturali, imprenditoriali, sociali
e di presidio attivo del territorio. La rigenerazione urbana, che ha potuto
avvalersi di una stagione straordinaria di investimenti pubblici e a cui non
basterà una nuova legge urbanistica regionale se si ritorna alle politiche di
austherity, deve accompagnare un disegno che abbia la cultura, la socialità e
il territorio al centro.
Gli ambiti scelti dal progetto
“Fabriano Poliedricity” e cioè quelli dello sport-benessere-tempo libero, della
creatività-innovazione-imprenditorialità e
dell’accoglienza-multigenerazionalità-abitare sembrano allinearsi coerentemente
con lo sforzo che a livello amministrativo si sta compiendo per “far ripartire”
Fabriano.
Le 4 aree prescelte per i
focus progettuali, che restituiranno 12 masterplan e 28 progetti, facendo
tesoro della precedente elaborazione del DOST, riguarderanno: l’Area Est
(Ingresso della città, Quartiere Santa Maria e Cittadella dello Sport), il
Centro storico e il Quartiere Porta Pisana, l’Ingresso Ovest e il Quartiere San
Giuseppe Lavoratore, l’Area Nord oltre la stazione e il Quartiere Borgo. Si
tratta di un lavoro che potrà aiutare anche l’intenzione dell’Amministrazione
di realizzare una variante urbanistica che riveda le proiezioni di espansione e
insediamento produttivo del 1990, divenute anacronistiche e non idonee ad usi
diversi, ed elabori un piano energetico comunale.
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