UNA CHIAVE PER IL GOVERNO DELLE MARCHE


Quando il cardinale Anglic De Grimoard, divenuto nel 1367 legato pontificio dell’Italia e investito del compito di ricondurre le terre del Patrimonio, l’Umbria e la Marca anconitana all’obbedienza della Chiesa, definì Fabriano clavis province colse nel segno, sintetizzando in una espressione il ruolo della città in un quadrante più ampio.

Memore dell’impresa albornoziana, che proprio nel triangolo Gubbio, Fabriano, Camerino aveva trovato i primi appoggi per rimettere ordine nella Marca, e consapevole dell’influenza esercitata a nord dai Montefeltro e Malatesta e nel centro sud dai Varano, ma sicuramente anche sorpreso dalla riottosità dimostrata dalla città nell’assoggettarsi, ne aveva colto d’emblée il tratto distintivo e l’importanza.

Verrebbe da dire che quella espressione conserva tuttora un senso, anche se da allora l’assetto demografico, urbano e infrastrutturale delle Marche si è completamente ribaltato, consegnando alla città lineare adriatica e alle sue insenature vallive il primato territoriale. In che senso, allora, possiamo intenderla oggi?

Io credo nel senso che Fabriano, in un entroterra polverizzato e sempre più periferico, continua a coltivare un’ambizione urbana. Lo hanno dimostrato, da ultimo, le quattro giornate di “Fabriano Carta è Cultura”, in cui l’appartenenza della città alla rete delle Creative Cities Unesco, che include 14 città a livello nazionale e ben 350 a livello mondiale, è stata fonte di tante sollecitazioni sulla cultura come bene pubblico e leva della trasformazione urbana sostenibile, ma anche sull’importanza che una simile riflessione e il sistema di relazioni che l’accompagna riveste non solo per una città medio-piccola, ma per territori in preda ad una deriva borghigiana.

Il recente convegno della Cgil Marche sulle Aree interne, tenutosi a Camerino, ha evidenziato come la dinamica demografica di circa un centinaio dei 225 Comuni marchigiani la cui popolazione è inferiore ai 2.000 abitanti sia avviata verso una fase molto complessa che nel caso di quelli con meno di 1.000 è stata definita di “collasso strutturale”. Cioè, di conclamata impossibilità di invertire una tendenza negativa e di mantenere una struttura come quella su cui finora hanno potuto contare.

Di fronte all’ineluttabilità delle dinamiche demografiche che investono tutte le Marche, ma molto di più le Aree interne e anche i piccoli Comuni non classificati come tali, e alla progressiva polarizzazione dello sviluppo economico regionale, occorre – come ha sostenuto il prof. Calafati – cambiare paradigma e interrogarsi su che cosa è oggi il policentrismo marchigiano e quali le sue prospettive.

Rispetto ai modelli coniati negli anni Settanta della “città-regione” e dell’“industrializzazione senza fratture” la proposta di ragionare per sistemi locali progressivi, cercando di capire i meccanismi che guidano la traiettoria di sviluppo di ciascun sistema trans-comunale, può aiutare a meglio indirizzare le politiche pubbliche, ma anche a riconoscere il ruolo indispensabile che nei diversi sistemi assumono le piccole città.

È l’esatto opposto di quanto si sta facendo con la politica dei borghi. Serve, piuttosto, una politica per le città e per le aree interne della regione, che sia la conseguenza di una interpretazione aggiornata dell’assetto policentrico e della funzione strategica che in esso rivestono alcuni punti focali, vecchi e nuovi, sia nello sviluppo economico che nell’offerta di servizi a popolazioni sempre più rarefatte. Senza di che non è possibile neanche una vera riorganizzazione dei servizi sanitari.

Fabriano, da questo punto di vista, è l’unica realtà a vocazione urbana che può svolgere la funzione di città polo in un entroterra regionale che ne è privo. Per questo essa continua ad essere clavis in una visione della “regione arcipelago”, fatta di sistemi locali, ma che ha bisogno di una idea di governo complessiva. Fabriano, quindi, “città appenninica”, cioè ganglio essenziale di quella rete urbana diffusa a cavallo dell’Appennino che è chiamata a cooperare rispetto a comunità e territori altrimenti sempre più marginali. Una rete che alle relazioni trasversali, indotte dallo sviluppo economico, affianca quelle longitudinali e intervallive, suggestive di nuovi sentieri di sviluppo e rafforzate dalla nuova infrastrutturazione.

Infine, Fabriano come nodo d’intersezione dell’integrazione umbro-marchigiana con lo sguardo rivolto al centro Italia e al convoglio di testa delle regioni italiane.

In una regione come le Marche, non c’è possibilità di successo per una riscossa che punti sul consenso delle aree più urbanizzate, disinteressandosi di fatto o - peggio - avendo una visione puramente strumentale delle Aree interne della regione. Dopo il deragliamento del 2015, un nuovo centrosinistra consapevole dell’incidenza dei divari territoriali sulle dinamiche del voto e che abbia, soprattutto, in testa un programma di governo dovrebbe ripartire da una politica per le città e le aree interne delle Marche.


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