IN QUELLE NOZZE ROSSE QUALCOSA NON VA
Che cosa può indurre una persona
di circa 68 anni, malata e adusa alla vita, a compiere un gesto efferato, la
cui risonanza sarebbe enorme e i cui effetti sicuramente nocivi per chi ne sia
anche soltanto sospettato?
È vero che chi ha subito violenza
tende prima o poi a ripeterla, ma a Giulio Cesare Varano non erano mancate le
occasioni, seppur ricondotte nell’ambito di quell’arte della guerra così in
voga al suo tempo e alla quale con alterne vicende si era dedicato per tutta la
sua esistenza.
La violenza subita dalla sua
famiglia e la sua infanzia fatta di fortunosi salvataggi, così come una vita
condotta ai più alti livelli delle condotte militari, alle quali post mortem
verrà associato (da Sisto IV alla Serenissima, da Mattia Corvino alla casa
D’Aragona), avevano fatto di lui una personalità sagace e accorta, di certo non
così ingenua da esporsi in prima persona in una congiura sanguinaria.
C’è qualcosa che non torna e,
quindi, molto ancora da approfondire sull’infamia che gli è stata ritagliata
addosso di essere nella migliore delle ipotesi l’ispiratore, nella peggiore addirittura
tra gli autori materiali dell’eccidio dei Baglioni, in quelle “nozze rosse” che
macchiarono di sangue Perugia nella notte tra il 14 e il 15 luglio del 1500.
D’altra parte, della
partecipazione a congiure si può parlare in molti modi se è vero – come ha dimostrato
la storiografia più recente – che lo stesso Federico da Montefeltro non fu
all’oscuro e forse fu in qualche modo parte attiva della congiura de’ Pazzi ai
danni di Lorenzo e Giuliano de’ Medici. Ma non ne subì l’onta e la condanna
storica come è accaduto, invece, al Varano.
***
Il nuovo secolo si era aperto tra
mille incertezze, via via cresciute dopo il 1492, l’anno della scoperta
dell’America, della morte di Lorenzo il Magnifico e di Piero della Francesca, e
dell’elezione al soglio pontificio di Rodrigo Borgia, Papa Alessandro VI. Di lì
a poco la discesa di Carlo VIII aveva posto fine all’inviolabilità del suolo
italiano e contribuito a mandare in frantumi la politica medicea
dell’equilibrio tra gli staterelli italiani. Se n’era accorto a sue spese il
nuovo Papa, costretto a cambiare repentinamente le alleanze e ad annullare di
lì a poco il matrimonio della sua adorata figlia Lucrezia con Giovanni Sforza,
signore di Pesaro. Un’unione pensata secondo i clichè di un mondo in via di
archiviazione.
La “febbre” del nuovo secolo era
la costruzione dello Stato e il pieno controllo su di esso, senza il quale chiunque
sarebbe stato in balia degli eventi e oggetto di continue sopraffazioni. Ma da
che parte bisognasse cominciare per realizzarlo non era affatto chiaro.
Nel 1498 la svolta: Cesare Borgia
dismette l’abito di cardinale e scende in campo, si conclude la pace tra le
famiglie Orsini e Colonna, Lucrezia sposa Alfonso d’Aragona, si stringe la lega
di Blois tra il Papa, il re di Francia e la Repubblica di Venezia, quest’ultima
impegnata tra l’altro a contenere l’espansionismo turco. Cesare Borgia inizia
il suo apprendistato francese e sposa la figlia del signore d’Albret. Ci sono
tutte le condizioni per stringere il cappio intorno ai signorotti del centro
Italia.
Al Varano, sicuro conoscitore
degli equilibri italici e punto di sintesi di quelli adriatici, almeno dalla
Romagna al Regno di Napoli, non sfuggono affatto queste novità, anzi le fiuta
in tempo reale. Con le nozze del 1497 tra il primogenito Venanzio e Maria Della
Rovere, il legame tra il vaio, la rosa e la ghianda si rafforza; a Roma ha un
punto di riferimento nel cardinale di San Pietro in Vincoli, Giuliano Della
Rovere, antagonista di Papa Borgia, mentre si guarda sempre più a Venezia per il
progresso dei traffici e l’apertura alle arti e ai costumi.
La situazione di relativa
stabilità del versante adriatico e marchigiano spinge a guardare all’Umbria, continuamente
dilaniata da lotte intestine, come ad un’area di possibile allargamento delle
influenze, in particolare verso Nocera e Gualdo Tadino, da tempo gravitanti
nell’area camerte, ma anche verso Assisi e la stessa Perugia. D’altra parte,
che per il Varano l’Umbria fosse da sempre oggetto di attenzioni basta a
ricordarlo il suggerimento interessato che diede al suocero Sigismondo Pandolfo
Malatesta di cedere Rimini al Papa e di farsi dare in cambio Spoleto. In
maniera analoga erano procedute nel tempo anche alcune delle politiche
matrimoniali intessute, ad esempio, con i Trinci, i Fortebracci e gli stessi
Baglioni: Tora, Nicolina, Costanza Varano, solo per citare alcune donne della
casata. Né era affatto un mistero che il Duca di Urbino guardasse ad Assisi,
coltivando rapporti con i Conti di Sterpeto.
Ma l’accelerazione degli eventi più
generali costringe ognuno a non andare per il sottile. In discussione è lo
Stato, il proprio e quello degli altri, e occorre giocare a tutto campo. Costituiscono
degli antefatti le dispute intorno alla rocca di Agello presso Magione, per
recuperare la quale il Varano è costretto a far intervenire Girolamo Della
Penna, e alla torre del Bigazzino nei pressi di Sigillo. Dal 1499 iniziano le
ingiunzioni papali contro i Signori vicari di Rimini, Pesaro, Imola, Forlì,
Camerino, Faenza e il Duca di Urbino, rei di non onorare il censo annuo alla
Sede Apostolica. È la dichiarazione di guerra. Nel frattempo, viene sancita la
tregua tra il re di Francia e il re dei Romani Massimiliano I D’Asburgo. Un
altro tassello del puzzle che consente al Papa di attuare i suoi disegni.
Intanto cadono Imola e Forlì.
Venezia, impegnata con i Turchi, viene rassicurata. Cesare Borgia, duca
Valentino, viene nominato capitano generale e gonfaloniere di Santa Romana
Chiesa e riceve la rosa. L’investitura ora è piena. Astorre Baglioni, figlio di
Guido e di Costanza Varano, passa al servizio della Chiesa, ma si rifiuta di
muovere contro il Varano, suo zio. Nella notte tra il 14 e il 15 luglio, dopo
lunghi giorni di festeggiamenti per il matrimonio di Astorre Baglioni con
Lavinia Colonna Orsini, avviene la strage.
Giocano da detonatori l’incancrenito
problema di successione interno alla famiglia, che avrebbe voluto alla sua
guida Federico, detto Grifonetto, figlio di Grifone e discendente di Braccio;
le divisioni interne alla famiglia, di cui sono interpreti Filippo e Carlo
Baglioni, quest’ultimo nipote di Giulio Cesare Varano, e i perduranti scontri
tra le fazioni cittadine, di cui è protagonista Girolamo Arcipreti Della Penna,
anch’egli imparentato con il Varano. Guido, Astorre con Lavinia, Gismondo,
Simonetto cadono per mano dei sopra menzionati, uniti nella congiura. Si salva
Giampaolo Baglioni, che riconquista la città, mette in fuga gli assassini e fa
uccidere Grifonetto. Il Signore di Camerino, che era stato presente in città in
qualità di invitato alle nozze, viene ritenuto l’ispiratore della congiura,
mosso secondo i cronisti di parte da invidia e risentimento. Per inciso, la
notte successiva, quella tra il 15 e il 16 luglio, viene ferito gravemente a
Roma Alfonso D’Aragona, marito di Lucrezia Borgia, che morirà strangolato nel
suo letto il successivo 18 agosto.
Insomma, tutto avrebbe
consigliato al Varano di agire nella maniera opposta a quella che gli è stata
attribuita, ossia di suggerire prudenza ai protagonisti della vita politica
perugina con cui erano forti i legami di sangue e unità di fronte alle grosse
nubi che si addensavano all’orizzonte delle piccole Signorie del centro Italia.
A meno che i rampolli emergenti di casa Baglioni, Astorre e Giampaolo su tutti,
non avessero già messo il loro braccio al servizio del Borgia, ma in questo
caso un qualsiasi coinvolgimento del Varano nella congiura sarebbe stato
innanzitutto una questione di legittima difesa. Di certo il matrimonio di
Astorre con la figlia di Giovanni Colonna e Giustina Orsini, dopo quello di
Giampaolo con Ippolita de’ Conti, anch’essa imparentata con gli Orsini, aveva riacceso
le velleità dello “Stato baglionesco” e consolidato all’interno dello Stato
pontificio un grumo di potere che faceva ombra più di ogni altro a Papa Borgia.
Infatti, quando Alessandro VI, prima
il 29 settembre 1500, chiede al Varano il saldo del censo, oltre alle garanzie
per il passaggio e il vettovagliamento dell’esercito del Valentino impegnato
nell’impresa di Romagna, e poi il primo marzo 1501 emana la bolla con la quale
torna ad accusarlo di una pluralità di misfatti, tra cui quello di dare
ospitalità ai ribelli della Chiesa, non gli imputa in alcun modo delle
responsabilità nei tragici fatti perugini dell’anno prima e avrebbe potuto
farlo, vista la calunnia che fu capace di muovergli di aver procurato la morte
di suo cugino Rodolfo IV.
***
Probabilmente sulla linea
Perugia-Roma agivano due linee tensive: l’una di accreditamento dei Baglioni
nella campagna militare avviata con rapidi risultati dal Valentino, nella
speranza di trarre da essa benefici; l’altra di destabilizzazione del quadrante
umbro nell’ottica della destrutturazione dei vari contesti territoriali,
funzionale alla campagna borgiana, ma anche nello specifico alla rottura del
patto troppo invadente tra Baglioni, Colonna e Orsini. Fomentare le discordie e
le rivalità fino all’esito estremo poteva rappresentare una facile soluzione
per diversi degli interessi in campo.
Sta di fatto che la profezia del
Varano ormai capitolante in quel di Camerino, ossia le parole che egli “fece
intendere” a Francesco Orsini, duca di Gravina, “ch’egli in quell’impresa altro
non havrebbe acquistato, con la di lui ruina, che di farlo servire come in
pasto al Valentino, per allesso, per esser egli poi di cibo per arrosto”, valse
alla fine anche per colui che riuscì a sfuggire non solo alla congiura
perugina, ma anche al “bellissimo inganno” di Senigallia e in definitiva alle
grinfie del Valentino, quel Giampaolo Baglioni che, arrestato con l’inganno da
Leone X, finirà in maniera non dissimile i suoi giorni nel 1520.
Quando Raffaelo dipinge nel 1507
“Il trasporto del Cristo morto” su commissione di Atalanta Baglioni, madre di
Grifonetto, esprimerà con il dono della divina sintesi di umano e naturale che
gli è propria il passaggio dalla morte in croce alla sepoltura che prelude alla
resurrezione. Lo sforzo di coloro che trasportano il corpo del Cristo al santo
Sepolcro, tra i quali in primo piano sono riconoscibili Grifonetto e Astorre, quest’ultimo
con un volto che è la trasposizione di quello del Cristo, trasmette non solo la
fisicità dell’operazione, ma anche una evidente tensione, quasi la contesa dei
protagonisti intorno al sacro corpo trasportato. Con San Pietro che si premura
di sbarrare con il piede sinistro lo slancio pietoso della Maddalena.
[Trasporto del Cristo morto,
Raffaello Sanzio 1507, Galleria Borghese Roma]
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