AL CRATERE SISMICO SERVE LO IUS SCHOLAE


Per un momento ci abbiamo creduto. Che fosse tornata la politica, quella vera. Intendo la politica, anche quella dei sedicenti moderati o dei conservatori, che alle porte della ripresa dopo le ferie estive, era capace di anticipare i contenuti del dibattito autunnale, annunciando le priorità dell’impegno del proprio fronte e alimentando così il confronto politico.

Dopotutto è il ruolo delle leadership, di chi guida una comunità politica e ha il dovere di tracciare una rotta non solo alla propria parte, ma al Paese. Specie se il mondo è cambiato e anche chi è più affezionato ai valori tradizionali capisce che bisogna metabolizzare le novità se non si vuol finire ai margini della storia.

L’uscita post ferragostana del Ministro degli Esteri Antonio Tajani sullo ius scholae sembrava rispondere a questo ritrovato stile della politica. Complice anche l’aplomb del personaggio, che evoca più il portamento dell’uomo politico della Prima Repubblica che la vanità di quello punto zero.

E invece no. Ci eravamo illusi. Ben presto le posizioni espresse sono state ridimensionate, rimandate, sostanzialmente ritirate. Si è trattato ancora una volta di un modo di posizionarsi nel gossip estivo, di far parlare di sé, tra bibite e ombrelloni o ritrovi esclusivi. E con la coda dell’occhio buttata sui sondaggi.

Il tema evocato, però, è di quelli seri e averlo utilizzato in modo fatuo non depone a favore di chi l’ha fatto. Perché stiamo parlando di un Paese che invecchia e non fa figli, nel quale una parte consistente di persone che vi risiedono stabilmente e vi lavorano sono escluse dai diritti politici e civili, e in cui la capacità di attrazione nei confronti di giovani talenti e competenze di altri paesi è praticamente residuale.

Insomma, diventare cittadini italiani è un’impresa immane, capace di scoraggiare i più, spingendo anche chi qui è nato a progettare di abbandonare appena possibile il Paese verso altre destinazioni, quantomeno più remunerative in termini di opportunità.

Questo aspetto è di fondamentale importanza anche per un’area come quella del cratere sismico del 2016. Tutti ricordano quando all’indomani del terremoto Marche-Umbria del 1997 i piccoli Comuni dell’Appennino conobbero un numero crescente di lavoratori stranieri richiamati dalla ricostruzione e che poi si insediarono nelle nostre comunità, mettendo su famiglia attraverso i ricongiungimenti familiari e i cui figli sono cresciuti nelle scuole di paese.

Una immigrazione che è rimasta su percentuali sensibili fino all’esplodere della crisi economica dei primi anni Dieci del nuovo secolo, quando in molti - non ancora divenuti cittadini italiani - hanno deciso di lasciare quelle stesse comunità per ritornare nei paesi di origine o trasferirsi nei Paesi del nord Europa, Germania in testa, alla ricerca di lavoro e stabilità, aiutati anche dalle reti parentali e delle comunità di provenienza.

Ecco, oggi che si parla spesso di neo popolamento del cratere sismico, del più grande cantiere d’Europa e di un esperimento di ricostruzione connessa al rilancio economico e sociale dei territori interessati, sarebbe molto importante poter contare su un incentivo concreto e un messaggio positivo all’insediamento, alla residenzialità e alla possibilità di costruire il proprio futuro, rivolto ai tanti lavoratori stranieri che vediamo nei cantieri della ricostruzione, molti – a differenza del ’97 – anche di colore.

Il riconoscimento dello ius scholae avrebbe esattamente questo valore, incoraggiando le scelte di vita e facendo capire che c’è una società, ci sono delle comunità disponibili ad accogliere e ad includere, a favorire percorsi di vita personali e familiari.

Dopotutto, il timidissimo segnale di inversione demografica della popolazione marchigiana avvenuto nel 2023 è dovuto proprio all’immigrazione. Fatti 133.000 gli stranieri presenti nella nostra regione, i 12.000 immigrati dello scorso anno non solo sopravanzano di ben 4.000 unità coloro che hanno deciso di lasciare le Marche, ma hanno consentito di frenare l’emorragia demografica, facendo tornare in positivo il saldo regionale per la prima volta dopo diversi anni e dopo la pandemia.

La dinamica potrebbe essere incoraggiata, sempre in area cratere, dalle prospettive di lavoro continuativo, almeno per i prossimi dieci anni, e dalla disponibilità di case a basso prezzo per evitare lunghi spostamenti. Queste opportunità concrete sarebbero rafforzate dalla possibilità dei ricongiungimenti familiari, ma soprattutto da una riforma della legge sulla cittadinanza, vecchia ormai di trent’anni e che ci posiziona tra i paesi europei più rigidi. Una riforma che preveda misure dal forte impatto inclusivo come, appunto, lo ius scholae.

Non avremo raggiunto la visionarietà dei rivoluzionari della Repubblica Romana del 1849 che prevederono in quella Costituzione la cittadinanza agli “originari” della Repubblica; quindi, anche a chi sul suolo romano era semplicemente nato. Ma avremo sicuramente fatto qualcosa di più realistico e serio di chi pensa di neo popolare l’Appennino facendolo diventare il nuovo Portogallo.


 

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