CAMERINO, TRA PASSATO E FUTURO, CI INTERROGA


L’appello lanciato da 13 tra studiosi e appassionati della storia e dell’arte di Camerino non va lasciato cadere nel vuoto.

Essi hanno svolto un atto altamente civico, ponendo una questione di estrema serietà e urgenza, che obbliga chi di dovere ad una risposta e alla presa in carico delle ragioni fondate del loro allarme.

La profondità e vastità del sisma del 2016/2017, paragonabile per i danni inferti alla città ducale a quelli del 1279 e del 1799, ha spinto tutti, inclusi i massimi responsabili incaricati del processo di ricostruzione, ad anteporre la questione della sicurezza a tutto il resto.

La ricostruzione post sismica del 1997 ha avuto il pregio di limitare i crolli e di salvare le vite umane, in qualche caso anche grazie ad una buona dose di fortuna, ma non ha impedito che il livello del danno fosse elevato.

Occorre ricordare il dibattito che vi fu a quel tempo sull’esigenza di contemperare sicurezza e salvaguardia delle qualità storiche e artistiche degli abitati e delle costruzioni, grazie anche ad un ruolo più diretto svolto dalle Regioni e dalle Soprintendenze, queste ultime ben più strutturate e dotate di oggi.

Dopo gli eventi sismici del 2016 il dibattito non si è neppure aperto, e non solo per una decadenza dell’interesse storico in generale o per assenza di coraggio, ma perché il trauma prodotto dal terremoto era stato così devastante che non vi era dubbio sul fatto che la sicurezza andava garantita sopra ogni altra cosa.

La possibilità stessa della rinascita dei luoghi, il loro tornare ad essere abitati, ha poggiato fin da subito sulla certezza che stavolta la ricostruzione avrebbe dovuto preservare senza tentennamenti l’incolumità degli abitanti e la resistenza degli edifici.

L’appello degli studiosi camerti non cela questo assunto, anzi ne ribadisce l’importanza, ma mette in guardia da interventi superficiali o presuntuosamente asettici che non tengono conto di ciò su cui si va ad intervenire, con il rischio di produrre uno scempio di cui resterà memoria e che andrà ad arricchire l’inventario nazionale delle distruzioni del patrimonio culturale e architettonico frutto dell’ignoranza e della supponenza.

Meglio, allora, procedere preventivamente con segnalazioni storiche, analisi e carotaggi, rimozioni preventive di intonaci, che lascerebbero subito apparire quanto si cela sotto la ricostruzione ottocentesca, succeduta all’ultimo grande terremoto, e che – se recuperato – consentirebbe di dare qualche opportunità in più, e non in meno, al futuro di una città storica e artistica come Camerino.

Gli studiosi si richiamano al caso di Firenze dopo l’alluvione del 1966, quando - dovendo intervenire su palazzi antichi - l’asportazione dell’intonaco ai piani bassi consentì di individuare l’importanza delle costruzioni e assumere le dovute accortezze. In caso di necessaria demolizione essi propongono di censire le tracce emerse e di creare una banca della pietra antica, riutilizzabile per restauri.

Si può obiettare: ma siamo già all’ottavo anno dal sisma e la ricostruzione procede lentamente soprattutto nei nuclei urbani storici, come Camerino, che ha dovuto già adottare diversi accorgimenti per avviare i pochi interventi in atto nella ex “zona rossa”. Vero, ma dover fermare i lavori di fronte all’emergere di novità impreviste e tutelate dalla legge non accelera di certo il percorso, e poi è in gioco quale città la ricostruzione dovrà consegnare ai posteri.

Indubbiamente una città sicura e vivibile, ma anche una città che preservi i caratteri della sua unicità. Proprio su quest’ultimo punto, credo che ci sia stata una colpevole e generalizzata sottovalutazione; ovvero non si è capito che la ricostruzione di Camerino, proprio per la profondità del sisma, richiedeva un’attenzione più alta e una proposta che non si limitasse ad accomunarla a tanti altri centri negli strumenti di programmazione o nell’adeguamento del contributo parametrico per la ricostruzione dei palazzi storici.

Qui era ed è in gioco un di più che avrebbe richiesto e richiede un approfondimento specifico e misure idonee e adeguate al caso. Il di più è rappresentato da una città stratificata, ubicata sempre nello stesso sito d’altura da circa tre millenni e, sisma dopo sisma, ricostruita in un continuo processo di adattamento che richiede una lettura complessa e delle capacità d’intervento mirate. Per capirci, siamo molto oltre l’esperienza de L’Aquila.

Ciò che si rischia di perdere è molto, conservare le tracce è necessario. Il lungo declino delle aree interne e montane delle Marche ha avuto in Camerino un emblema aggravato dalla fragilità del territorio. Questa città, tuttavia, continua a porre ai contemporanei dei temi ineludibili dello sviluppo a venire, e ci coglie impreparati perché sempre più incapaci di relazionarci con il nostro passato, dalla cui rilettura in forma nuova, invece, dipende la possibilità di cambiare il futuro.

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