LE MARCHE TRA BUON SENSO E SENSO COMUNE
In una piccola pubblicazione
dell’Ifel, l’Istituto per la finanza e l’economia locale, dedicata ai Comuni
italiani e pubblicata nel 2023 si riportano in sintesi o, meglio, in tasca, i
numeri che riguardano i Comuni del nostro Paese aggregati per regione.
Dopotutto sono i Comuni che fanno
le regioni, intese anche in senso istituzionale. Ciò è particolarmente vero per
la regione al plurale. Alcuni dei dati riportati catturano l’attenzione e
meritano di essere sottolineati.
Il primo dato è di tipo economico
e riguarda il fatto che la nostra regione tra il 2021 e il 2022 ha perso il
3,8% delle sue imprese attive e l’aria non sembra sia cambiata nell’ultimo
anno, né nell’ultimo decennio. Chi si avvicina alla nostra performance negativa
è il Molise con il 2,7%, il resto delle Regioni va decisamente meglio. Qualcuno
ci spiega che ciò dipende dalla pulizia degli elenchi camerali, ma se poi
questo dato si unisce a quelli dell’export, di un Pil che a fatica tiene la
media nazionale e a proiezioni che confermano un andamento stazionario
dell’economia regionale per i prossimi anni, gli indizi si sommano fino a
diventare una ulteriore prova della “medianizzazione” delle Marche.
Il secondo dato riguarda il
territorio, la sua morfologia. Le Marche sono una regione senza pianura,
essendo i suoi Comuni per il 17,8% montani e per l’82,2% collinari, soprattutto
di alta collina. Condizione, quella dell’assenza di Comuni pianeggianti, che ci
accomuna con altre regioni bagnate dal mare, come l’Abruzzo, la Liguria e il
Molise, le quali tuttavia sono molto più montane di noi e meno collinari. Qui
non può che sovvenirci il Guido Piovene del “Viaggio in Italia”, insieme al
paradosso di una regione che vede affollata lungo il bagnasciuga la metà della
popolazione, mentre tutto il resto del territorio è alle prese con dinamiche di
rarefazione demografica.
Proprio da questo punto di vista,
quello demografico, tutte le Marche si spopolano e invecchiano. Dove più e dove
meno. L’indice di incremento naturale della popolazione è negativo e siamo tra
le regioni che lo hanno più alto (-7,07 per ogni 1000 abitanti). Ci superano
l’Umbria, il Friuli Venezia Giulia, il Molise e la Liguria. Il che ci dovrebbe
spingere a fare ragionamenti e interventi sull’integrazione degli immigrati e i
ricongiungimenti familiari, sui servizi per l’infanzia e le donne e su salari
più decenti con l’obiettivo di migliorare i tassi di natalità, visto che per
quanto riguarda la longevità non ci comportiamo male. Longevi e sempre più
vecchi. L’indice di invecchiamento dei Comuni marchigiani, infatti, li colloca
su posizioni avanzate, analoghe a quelle del mancato incremento naturale.
Le Marche sono una regione
sismica. Questo lo sappiamo, ma che lo fossero tutti i Comuni non credo che sia
abbastanza patrimonio comune. Tutti i Comuni appartengono o alla fascia alta di
sismicità (3,1%) o a quella media (96,9%), nessuno a quelle bassa o molto bassa,
condizione questa che ci accomuna alla Calabria, la quale tuttavia ha molti più
Comuni nella fascia alta. I Marchigiani sono antropologicamente sismici. C’è da
sperare che non se lo dimentichino al Governo, dal quale proprio in questi
giorni sono venute notizie non confortanti con lo spostamento al 2027-2028 di
ben 250 milioni di euro destinati al programma Next Appennino, integralmente
finanziato dal Piano nazionale complementare al PNRR per 1.780 milioni ed ora
decurtato con la speranza di future coperture a valere sulla contabilità dello
Stato. Non starei tranquillo, anche perché finora non si è capito bene quali
siano le voci del programma interessate dal definanziamento.
Ci aspettavamo una integrazione finanziaria
al programma Next Appennino di almeno pari peso, per scorrere le graduatorie
delle tante domande ammesse e non finanziate, mentre ci ritroviamo con un
rinvio che sa di taglio se non si troverà urgentemente una copertura finanziaria.
Quando ormai il PNRR e lo stesso PNC saranno conclusi, sarà dura richiamarsi a
quella volta che...
Non ci consola, infine, il fatto
che i Comuni delle Marche siano tra quelli che in Italia hanno più potenza
installata di impianti fotovoltaici in esercizio: 131 Kw per Kmq. Ci superano
soltanto Puglia, Veneto e Lombardia. Una regione green che può e deve fare
ancora molto di più per promuovere la transizione ecologica e la sostenibilità.
Ma ad una condizione; che l’emergenza energetica e lo sviluppo delle fonti
rinnovabili avvenga in un rapporto equilibrato e idoneo con l’uso dei suoli e
il paesaggio, superando inerzie che non ci possiamo più permettere, ma anche
forme di deregulation nocive, perché finiscono con il loro impatto per estrarre
valore, più che conferirlo ai territori, in particolare a quelli delle aree
interne.
Una lettura agile e piacevole
quella del piccolo breviario dell’Ifel, ad uso del buon senso, sempre che non
se ne stia nascosto per paura del senso comune.
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