LE MARCHE, TRA PREGIUDIZI E REALTA’


La prima volta era successo alla conferenza stampa di fine anno. A distanza di poco più di un mese è successo di nuovo. Di fronte all’incalzare dei problemi, il Presidente della Regione Marche Francesco Acquaroli ha dismesso l’aplomb del moderato, che lo ha fatto apprezzare anche da tanti cittadini distanti dalla sua storia politica, ed ha bollato quelli della sinistra al governo delle Marche come “30 anni di immobilismo”, sostenendo da ultimo che “la sinistra ha guidato male la Regione per 25 anni”.

Un giudizio liquidatorio che non si addice a chi riveste il ruolo di vertice istituzionale della comunità regionale e che dopo tre anni e mezzo di governo dovrebbe aver compreso quali e quante difficoltà si frappongano alla traduzione delle idee e dei progetti nella realtà.

Ma, soprattutto, un simile giudizio risponde al vero? E cosa ne pensano non solo gli esponenti dell’attuale centrosinistra, che non hanno replicato a queste dichiarazioni, ma anche ambienti e personalità che quegli anni hanno condiviso, alcuni dei quali hanno sostenuto e sostengono tuttora il Presidente Acquaroli?

Andiamo con ordine. Il centrosinistra ha governato le Marche dal 1995 al 2020, per venticinque anni, con tre Presidenti: Vito D’Ambrosio (1995-2005), Gian Mario Spacca (2005-2015) e Luca Ceriscioli (2015-2020). L’iniziale alleanza dei Progressisti si aprì nel 1998 ai Popolari, quindi nel 2005 l’esperienza dell’Ulivo con il concorso della sinistra più radicale, poi nel 2010 l’alleanza tra Pd e Udc e da ultimo la coalizione di centrosinistra a guida Pd fino alla sconfitta del 2020.

Avendo vissuto più o meno da vicino l’intera parabola del centrosinistra regionale, provo a ricordare per sommi capi a me stesso e a chi ha la pazienza di leggermi cosa in quei 25 anni è stato fatto. Innanzitutto, dentro la ricca stagione di riforme istituzionali e amministrative degli anni Novanta, il primo centrosinistra rinnovò tutti gli strumenti di programmazione regionale sulla scia delle politiche di decentramento delle funzioni dal centro a Regioni, Province e Comuni. Molti di questi strumenti sono ancora alla base degli aggiornamenti successivi. Nel 1997 accadde il terremoto Marche-Umbria, la cui ricostruzione gestita direttamente dalle Regioni è stata più volte richiamata come un modello di efficienza e trasparenza troppo presto archiviato. In campo turistico e culturale nacquero: l’Aptr e l’immagine della Regione affidata a testimonial ancora in voga, il progetto del museo diffuso e il recupero di beni culturali e teatri storici, ancora oggi oggetto di attenzione. Nel 1999 prese corpo il progetto infrastrutturale del Quadrilatero di penetrazione interna Marche-Umbria, che grazie al centrosinistra non si trasformò in una devastazione ambientale del territorio e in una sequela di cattedrali nel deserto, ma fu finanziato con risorse statali, in maniera bipartisan, dai vari Governi nazionali che si succedettero. Nel 2003 nacque l’Asur, l’azienda sanitaria unica regionale, per ovviare alla degenerazione delle logiche aziendalistiche che avevano fatto esplodere il deficit sanitario e generato lo squilibrio della spesa pro-capite tra territori. Il centrosinistra si caricò la responsabilità del risanamento finanziario con una delle manovre più coraggiose di tutti i tempi.

Con gli anni della presidenza Spacca si portò a completamento la ricostruzione post-sisma, si avviarono più robuste politiche industriali, si investì con decisione nella diversificazione del sistema produttivo, puntando sul cosiddetto “secondo motore dello sviluppo” (turismo, cultura, ambiente, enogastronomia) e sull’internazionalizzazione, con la nascita della Macroregione Adriatico Ionica. Nel 2007, prima della grande crisi, le Marche erano tra le regioni con le migliori performances nell’export e con un tasso di sviluppo superiore alla media nazionale. Poi l’esplosione della crisi economica, i fallimenti della Antonio Merloni e di Banca Marche, la crisi della finanza pubblica con i tagli pesanti al sistema delle Autonomie locali. Ciononostante, in quegli stessi anni nelle Marche si realizzarono importanti investimenti infrastrutturali, come la terza corsia della A14, l’elettrificazione della linea Ascoli-Porto d’Ascoli e la prosecuzione del progetto Quadrilatero, la sanità pubblica regionale divenne benchmark per la sostenibilità finanziaria e gli Enti locali ricevettero dalla Regione spazi di agibilità finanziaria per gli investimenti. Nelle politiche culturali nacquero i Distretti culturali evoluti e il Consorzio Marche Spettacolo.

Da ultimo, la stagione del governo Ceriscioli non riuscì a fare fronte ai profondi effetti della crisi economica e, a distanza di appena un anno dall’insediamento, dovette affrontare il più grande terremoto della storia recente delle Marche, che ha riguardato il 40% del territorio regionale, quello già in precedenza più fragile. Quindi l’insorgere inaspettato della pandemia di Covid, che obbligò ad assumere scelte difficilissime di contenimento del contagio e di risposta sanitaria, senza poter contare su modelli pregressi di riferimento. Vi furono errori nell’avvio del processo di ricostruzione, molti meno nella gestione del Covid, anche se la pandemia fece emergere i limiti dei diversi sistemi sanitari regionali, incluso il nostro. Tuttavia, in quegli stessi anni sono da ricordare il risanamento dell’aeroporto, la nascita della Camera di commercio unica delle Marche e del Confidi Unico come importanti innovazioni di sistema.

Dunque, 30 anni di immobilismo? 25 anni di malgoverno? O piuttosto una parabola che ha fatto i conti con delle cesure che vanno ben oltre le responsabilità amministrative e la capacità di fronteggiarle di una piccola regione? E che hanno prodotto come in altri contesti simili e meno simili un cambio di governo netto. Ciò, sia chiaro, non serve ad assolvere errori e insufficienze, che ci sono stati, ma ad esercitare un briciolo di onestà intellettuale.

Tutti ricordiamo come ricostruzione post-sismica e sanità fossero divenuti non senza toni strumentali i cavalli battaglia della destra, che ha saputo sfruttare l’occasione del cambiamento politico. Ma se ad oggi dovessimo fare un bilancio non tanto delle facili ricette allora proposte, bensì delle effettive realizzazioni che ci si sarebbe potuti aspettare da chi non era mai stato al governo dalla nascita della Regione, non ci allontaneremmo dal vero sostenendo che esso sia abbastanza magro e che il più delle volte la continuità finisca per prevalere sulla proclamata discontinuità.

Peraltro, in un quadro generale sensibilmente modificato, che tra ricostruzione post sisma e PNRR ha consegnato nelle mani della destra risorse enormi, come non se ne ricorda nella storia della Repubblica. La ricostruzione, poi, ha avuto la sua svolta effettiva per iniziativa di Giovanni Legnini e la progressione della spesa, che viene costantemente brandita come emblema di un cambio di passo, non è altro che l’effetto moltiplicatore dell’approvazione dei progetti conseguente al suo sblocco. La sanità pubblica versa in uno stato di grande preoccupazione, a causa del definanziamento nazionale, dell’impatto determinato dalla pandemia sulle professioni sanitarie, del mancato intervento “chirurgico” sui servizi, le reti cliniche e il personale, a cui si è preferita l’ennesima riforma del modello giuridico-organizzativo che non sia sa quando e se troverà stabilità ed efficacia.

Sulle infrastrutture si fa un gran annunciare, ma tutti sappiamo che investimenti almeno quindicennali, come sono quelli che riguardano Anas, Rfi, etc., sono il risultato più della continuità garantita dalle istituzioni e dalle burocrazie che della discontinuità rivendicata da tizio o caio. Il trasporto pubblico locale è in grande affanno. La legge urbanistica è stata un’effettiva novità, ma la mancata concertazione ne ha limitato la potenziale accoglienza positiva.

Insomma, pensare di determinare grandi cambiamenti attraverso il governo regionale non è nelle possibilità umane, ancor meno in quelle dei marchigiani. E si rischia di scontare lo scarto tra gli annunci e la prassi, soprattutto se a ciò si aggiunge una certa ansia per l’occupazione del potere, l’eccesso di scelte discrezionali e il mancato dialogo con chi non è allineato alla filiera, che più che istituzionale appare essere di partito.

L’attuale centrosinistra dovrebbe avere l’assillo di difendere, rinnovare e rilanciare la propria storia di governo delle Marche. Ma tant’è! Il centrodestra, a trazione FdI, dovrebbe cercare tra cambi di passo e passi indietro di presentare un bilancio soddisfacente agli elettori, provando a non replicare pagine brutte come quella che si sta scrivendo in questi mesi sull’aeroporto.

D’altra parte, è lo stesso status di regione in transizione a ricordarcelo. Ci siamo diventati per l’impatto che la grande crisi ha avuto sulle Marche e per un cambio dei parametri europei, ma da quel processo di “medianizzazione”, che ha portato le Marche da sopra la media nazionale alla necessità di evitare la “meridionalizzazione”, non ci siamo ancora ripresi e anche le proiezioni dei maggiori supporter economici del governo regionale indicano che la strada non è cambiata. Anzi. Siamo qui, in una mediocritas non più aurea che consiglia quantomeno di evitare giudizi avventati.



Commenti

Post popolari in questo blog

UNA ZES PER LE REGIONI IN TRANSIZIONE

UNA CARTOLINA DA CAMERINO FUTURA

OTTO ANNI DAL SISMA: SERVE UN’OPERAZIONE VERITA’ E UNA NUOVA POLITICA PER LE AREE INTERNE