SI FA PRESTO A DIRE ZERO TASSE
Il problema è che si tratta di
una ricetta velleitaria, sulla quale, tuttavia, anche a livello nazionale si
continua a indulgere, facendo credere che sia non solo auspicabile, ma anche
possibile.
Pensare che un Paese, in cui
circa il 40% del territorio è montano, con una differenziazione della montagna
- da quella alpina a quella appenninica - che va da Cortina all’Aspromonte
passando per il cratere sismico del Centro Italia, possa avere un trattamento protratto
nel tempo di defiscalizzazione generalizzata o di privilegio fiscale per
piccole enclaves territoriali, significa
non fare i conti con la realtà.
A ciò si aggiungono, poi, gli
strabismi tipici di una certa confusione che pervade il dibattito pubblico. Se il problema dei problemi è - al dire dei più - la bassa natalità, in montagna si
propone di aumentare il numero degli anziani, come se mancassero, mentre si
rinuncia a regolare e a integrare i flussi di immigrazione che arrivano nel
nostro Paese.
Si parla dell’entroterra come
insieme di borghi, tanto da imbastire una politica nazionale e regionale su di
essi con premialità nei bandi per le realtà sotto ai 5.000 abitanti, senza dire
che per definizione un borgo non può avere servizi di carattere urbano (sanità,
trasporti, scuole) se non su bacini intercomunali che li associno o attraverso
l’offerta che solo delle città polo sono in grado di organizzare. Inutile, poi,
dire che si rifugge accuratamente dai primi e si trascurano le seconde.
Nel frattempo, le politiche territoriali
come la Strategia nazionale delle Aree interne sono state anestetizzate, le
Green Communities non sono finanziate, le Comunità energetiche rinnovabili che
nel frattempo hanno realizzato gli impianti non vengono riconosciute. Mentre, a
livello regionale, le prese di posizioni critiche di qualche tempo fa
sulla mancata estensione della decontribuzione dal Sud al cratere e sulla Zona economica
speciale per l’area sisma sono state archiviate e, ora, non si può più contare
sulla Zona Franca Urbana, che aveva dato un effettivo sollievo alle imprese
operanti nel cratere.
Ci affidiamo, tuttavia, all’Irpef
al 7% per i pensionati facoltosi che vivono all’estero, sperando che tornino in
patria, o ai nomadi digitali, che s’innamorino dell’Appennino e del cratere!
In un libro, recentemente
ripubblicato, di Meuccio Ruini intitolato: “La montagna in guerra e dopo la
guerra”, edito nel 1918, l’autore, rivolgendosi all’amico Ministro dell’Agricoltura
e Presidente della Federazione Pro
Montibus, il fabrianese Giambattista Miliani, sosteneva che il problema
della montagna era innanzitutto di tipo produttivo. Sarebbe imperdonabile “se
la montagna non avesse, fin da ora, il suo posto in quei provvedimenti, che si
chiamano col nome un po’ mitico ed indeterminato di dopoguerra, e che io amo chiamare invece provvedimento per il periodo di ricostituzione. Per la montagna si
tratta veramente di ricostituzione. Abbiamo con te studiati questi problemi,
nel cuore di una zona non fortunata dell’Appennino, e ci siamo convinti
dell’indilazionabile urgenza di provvedere”.
Dalla riparazione alla
ricostituzione. Il problema della montagna, mutatis
mutandis, resta ancora di tipo produttivo, di investimenti, innovazione,
sostenibilità, anche attraverso la messa a valore del grande capitale naturale.
Ma di ciò, tranne l’eccezione del cratere sismico grazie al PNRR, non c’è
traccia a livello nazionale e le politiche per la montagna restano di fatto
regionalizzate, tanto più se dovesse diventare legge l’Autonomia differenziata.
Dare opportunità degne di
autorealizzazione ai giovani. Questo dovrebbe essere l’assillo. Dopo tre anni e
mezzo di parole sui borghi, sarebbe stato sufficiente fare quel che ha fatto l’Emilia-Romagna
incentivando con contributi fino a 30.000 euro le giovani coppie che acquistano
casa in Appennino o, se vogliamo essere più esotici, concedere come ha fatto il
Giappone un contributo da 7.500 a 36.000 euro alle coppie con figli che
lasciano la città per trasferirsi in un villaggio di montagna. Ma da noi non
c’è Tokyo, con i suoi 14 milioni di abitanti, e tutto è tremendamente
complicato.
Poi però ci accorgiamo, quando
capita un incidente, dello stato dei servizi sanitari che in tutto l’entroterra
marchigiano non ha più un ospedale che possa effettivamente dirsi DEA di primo
livello. Una montagna dove è impossibile nascere e si può soltanto morire.
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