SI FA PRESTO A DIRE ZERO TASSE


Che cosa fare dei territori del sisma, nei quali si stanno riversando enormi risorse per la ricostruzione privata e pubblica, mentre prosegue l’invecchiamento e il calo demografico? Come far sì che il rilancio economico e sociale che si sta tentando abbia una prospettiva attraverso azioni di ripopolamento dell’Appennino? A queste domande, che stanno alla base dell’articolo di Lolita Falconi sul “Corriere Adriatico” del 30 gennaio scorso, è facile rispondere con la ricetta più servizi e meno tasse.

Il problema è che si tratta di una ricetta velleitaria, sulla quale, tuttavia, anche a livello nazionale si continua a indulgere, facendo credere che sia non solo auspicabile, ma anche possibile.

Pensare che un Paese, in cui circa il 40% del territorio è montano, con una differenziazione della montagna - da quella alpina a quella appenninica - che va da Cortina all’Aspromonte passando per il cratere sismico del Centro Italia, possa avere un trattamento protratto nel tempo di defiscalizzazione generalizzata o di privilegio fiscale per piccole enclaves territoriali, significa non fare i conti con la realtà.

A ciò si aggiungono, poi, gli strabismi tipici di una certa confusione che pervade il dibattito pubblico. Se il problema dei problemi è - al dire dei più - la bassa natalità, in montagna si propone di aumentare il numero degli anziani, come se mancassero, mentre si rinuncia a regolare e a integrare i flussi di immigrazione che arrivano nel nostro Paese.

Si parla dell’entroterra come insieme di borghi, tanto da imbastire una politica nazionale e regionale su di essi con premialità nei bandi per le realtà sotto ai 5.000 abitanti, senza dire che per definizione un borgo non può avere servizi di carattere urbano (sanità, trasporti, scuole) se non su bacini intercomunali che li associno o attraverso l’offerta che solo delle città polo sono in grado di organizzare. Inutile, poi, dire che si rifugge accuratamente dai primi e si trascurano le seconde.

Nel frattempo, le politiche territoriali come la Strategia nazionale delle Aree interne sono state anestetizzate, le Green Communities non sono finanziate, le Comunità energetiche rinnovabili che nel frattempo hanno realizzato gli impianti non vengono riconosciute. Mentre, a livello regionale, le prese di posizioni critiche di qualche tempo fa sulla mancata estensione della decontribuzione dal Sud al cratere e sulla Zona economica speciale per l’area sisma sono state archiviate e, ora, non si può più contare sulla Zona Franca Urbana, che aveva dato un effettivo sollievo alle imprese operanti nel cratere.

Ci affidiamo, tuttavia, all’Irpef al 7% per i pensionati facoltosi che vivono all’estero, sperando che tornino in patria, o ai nomadi digitali, che s’innamorino dell’Appennino e del cratere!

In un libro, recentemente ripubblicato, di Meuccio Ruini intitolato: “La montagna in guerra e dopo la guerra”, edito nel 1918, l’autore, rivolgendosi all’amico Ministro dell’Agricoltura e Presidente della Federazione Pro Montibus, il fabrianese Giambattista Miliani, sosteneva che il problema della montagna era innanzitutto di tipo produttivo. Sarebbe imperdonabile “se la montagna non avesse, fin da ora, il suo posto in quei provvedimenti, che si chiamano col nome un po’ mitico ed indeterminato di dopoguerra, e che io amo chiamare invece provvedimento per il periodo di ricostituzione. Per la montagna si tratta veramente di ricostituzione. Abbiamo con te studiati questi problemi, nel cuore di una zona non fortunata dell’Appennino, e ci siamo convinti dell’indilazionabile urgenza di provvedere”.

Dalla riparazione alla ricostituzione. Il problema della montagna, mutatis mutandis, resta ancora di tipo produttivo, di investimenti, innovazione, sostenibilità, anche attraverso la messa a valore del grande capitale naturale. Ma di ciò, tranne l’eccezione del cratere sismico grazie al PNRR, non c’è traccia a livello nazionale e le politiche per la montagna restano di fatto regionalizzate, tanto più se dovesse diventare legge l’Autonomia differenziata.

Dare opportunità degne di autorealizzazione ai giovani. Questo dovrebbe essere l’assillo. Dopo tre anni e mezzo di parole sui borghi, sarebbe stato sufficiente fare quel che ha fatto l’Emilia-Romagna incentivando con contributi fino a 30.000 euro le giovani coppie che acquistano casa in Appennino o, se vogliamo essere più esotici, concedere come ha fatto il Giappone un contributo da 7.500 a 36.000 euro alle coppie con figli che lasciano la città per trasferirsi in un villaggio di montagna. Ma da noi non c’è Tokyo, con i suoi 14 milioni di abitanti, e tutto è tremendamente complicato.

Poi però ci accorgiamo, quando capita un incidente, dello stato dei servizi sanitari che in tutto l’entroterra marchigiano non ha più un ospedale che possa effettivamente dirsi DEA di primo livello. Una montagna dove è impossibile nascere e si può soltanto morire.


Commenti

Post popolari in questo blog

UNA ZES PER LE REGIONI IN TRANSIZIONE

UNA CARTOLINA DA CAMERINO FUTURA

OTTO ANNI DAL SISMA: SERVE UN’OPERAZIONE VERITA’ E UNA NUOVA POLITICA PER LE AREE INTERNE