LE CITTA’ DEL POPOLO


L’ultimo lavoro del grande medievista Jean Claude Maire Vigueur è dedicato alle città. “Così belle, così vicine. Viaggio insolito nelle città dell’Italia medievale” (Il Mulino 2023) è il titolo del libro che si concentra sulle trasformazioni del paesaggio urbano nel periodo che va dall’affermazione dei Comuni alla fine dei governi di Popolo, sostanzialmente dalla seconda metà del XII ai primi decenni del XIV.

Un periodo di grande crescita economica e demografica con i conseguenti fenomeni di inurbamento delle popolazioni rurali ed espansione dei nuclei storici delle città centro-settentrionali del Paese. “In Italia come nel resto dell’Occidente, la crescita demografica raggiunge il suo culmine tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, ragione per la quale il 1300 viene generalmente scelto come punto di osservazione quando si cerca di valutare il livello dell’urbanizzazione”, sostiene lo storico.

In quel torno di tempo Milano è la città più popolosa (circa 180 - 200.000 abitanti), seguono Venezia, Firenze e Genova (circa 100.000 abitanti cadauna); quindi viene la fascia delle città che hanno tra i 30 e i 50.000 abitanti: Bologna, Siena e Pisa hanno ciascuna circa 50.000 abitanti, Brescia, Cremona e Roma circa 40.000, mentre Verona e Padova ne hanno più di 30.000. Il numero delle città con una popolazione compresa tra i 15.000 e i 30.000 abitanti ammonta a 27 così distribuite: 3 Lombardia, 1 Piemonte, 2 Veneto, 4 Emilia-Romagna, 3 Toscana, 6 Marche, 6 Umbria, 2 Lazio. Infine, le città con una popolazione tra i 5.000 e i 15.000 abitanti sono 53, distribuite in maniera molto diversa tra nord e centro Italia: 10 circa al settentrione, non meno di 43 nel mezzo (10 in Toscana, 16 nelle Marche, 8 in Umbria, 9 nel Lazio). Il tutto con un tasso di urbanizzazione di almeno il 22-23%, pari se non superiore a quello delle Fiandre e della Spagna islamica, due aree anch’esse in forte espansione, ma molto più piccole dell’Italia.

Interessante - nota Vigueur – “è l’esistenza, specialmente nelle quattro regioni dell’Italia centrale, di un fitto reticolo di piccole città, tutte di dimensioni inferiori ai 15.000 abitanti”, che “vengono ad aggiungersi, in Toscana, a una rete già molto densa di medie e grandi città, mentre nelle Marche, in Umbria e nel Lazio compensano, in una certa misura, l’assenza quasi totale di grandi centri urbani”. “In tutti i casi - continua - si tratta non di grossi centri rurali, ma di autentiche città, di città in miniatura se vogliamo, che comunque possiedono tutte le caratteristiche delle grandi città, sul piano sia urbanistico-architettonico ed economico-sociale sia politico-culturale”.

Il policentrismo del centro Italia e delle Marche in particolare ha qui la sua origine, al punto che potremmo dire che non molto è cambiato da allora, se non fosse per il generale aumento della popolazione, l’espansione della Capitale e lo spopolamento dell’Appennino, con lo sviluppo dei sistemi vallivi e delle città costiere. Fenomeni, questi, certamente di grande rilievo, ma che non hanno ridotto l’assetto policentrico.

Il fenomeno dell’urbanesimo determina l’emergere di nuove classi sociali che producono un mutamento politico con l’insediamento di nuove magistrature e la progressiva affermazione di governi popolari, in una dialettica costante non solo con i poteri precedenti, quello vescovile e quello dell’aristocrazia militare (militia), ma anche e soprattutto con i poteri sovracomunali, come l’Impero e il Papato o l’espansionismo angioino e delle città maggiori. Relative alleanze incluse. Fino alla prima metà del Trecento, quando la peste nera del 1348 segna una cesura epocale e i processi di concentrazione e verticalizzazione del potere si accentuano con l’instaurarsi delle Signorie e la costruzione delle statualità territoriali.

I governi del Popolo sono l’espressione delle prime origini del pensiero e del movimento democratico. Progressivamente essi assumono la consapevolezza dell’importanza dello spazio pubblico come sfera di manifestazione e attuazione del diritto di ciascuno alla cittadinanza, ragion per cui detto spazio deve rispondere a criteri di utilità pubblica, ordine, decoro e bellezza (ornamentum). È il concetto di bene comune che si afferma e ciò viene evidenziato con la costruzione di edifici che incarnano questo valore, abbelliti da cicli pittorici che veicolano il nuovo messaggio - come nel caso della Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo Governo nel Palazzo Pubblico di Siena. L’edificazione dei Palazzi del Popolo, di cui in Italia restano tutto sommato pochi ma straordinari esempi, è l’emblema di una stagione. In alcuni casi i tempi della loro ultimazione coincide quasi con le lunghe e complesse fasi dell’egemonia popolare.

Vigueur, mentre fa notare la differenza di queste nuove costruzioni con le sontuose cattedrali opera dei vescovi, alle quali non è tuttavia estraneo l’intervento del potere comunale, o con le torri e fortificazioni interne alla città, tipiche delle famiglie aristocratiche più potenti, descrive in maniera lineare ed efficace l’impatto delle scelte dei nuovi governi sul paesaggio urbano: piazze, fontane, cinte murarie, ma anche strade, acquedotti, pozzi, cisterne, fossati, mercatali, logge del grano, insieme all’urbanizzazione di nuove aree a ridosso del centro demico più antico, per la cui realizzazione risultano decisivi i possedimenti e l’iniziativa degli ordini religiosi, sollecitati da presso dagli stessi poteri comunali.

Qui s’insediano non solo i nuovi cittadini provenienti dal contado o dai castelli conquistati, ma si moltiplicano i mestieri che vanno ad ampliare la ristretta offerta interna alla prima cerchia di mura, disperdendosi e concentrandosi nella città, a seconda dei casi: vignaiuoli e ortolani, bovattieri, lanaioli, linaioli, oleandoli, baldigrai, chiavaioli, medici e speziali, calderai, cartai o cartolai, pellicciai, conciatori, callegari, beccai, pescivendoli, cordovanieri, cambiavalute, sarti, fabbri, mercanti, falegnami, vasai, armaioli, fornaciai, cuochi, notai, il cui “collegio” in particolare rappresenta l’enclave intellettuale della guida politica e ideologica del regime di Popolo insediato nel governo cittadino.

Nella sola città di Bologna, alla data del 1294, si possono contare 23 Arti o società di mestiere, con 10.684 iscritti, distribuiti nelle 99 “cappelle” o parrocchie di appartenenza. Ampia anche la massa dei salariati e delle donne attive; diffuse sono le botteghe, le officine, i fondaci, i tiratoi, i mulini, le gualchiere, che sfruttano l’energia idraulica e in alcuni casi costituiscono dei veri e propri siti industriali tardo medievali, a seconda delle tipologie di manifattura, accentrata (in un unico stabilimento) o decentrata (a tanti artigiani autonomi e poi rifinita o assemblata in una sede centrale). Per finire con le vie dello shopping che si affermano a partire dalla seconda metà del Quattrocento.

Vigueur abbraccia con lo sguardo l’ampio panorama delle città medievali; si sofferma sulle più grandi, Firenze, Milano, Venezia, Bologna, Siena; indugia sull’Umbria, Perugia e Gubbio, ma anche Spoleto, suo primo amore; lascia un po’ in disparte le Marche, pur segnalando in più di un passo la città di Fabriano per il suo austero Palazzo del Podestà (XIII sec.), oltre che per la fontana Sturinalto, giudicando il primo tra i più importanti monumenti italiani della stagione dei governi di Popolo, annoverato insieme a quelli di Firenze, Siena, Perugia, Orvieto, Gubbio, Padova, Bologna, Piacenza, Roma, Venezia, ed evidentemente a suo avviso il più significativo delle Marche.


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