LE CITTA’ DEL POPOLO
Un periodo di grande crescita
economica e demografica con i conseguenti fenomeni di inurbamento delle
popolazioni rurali ed espansione dei nuclei storici delle città
centro-settentrionali del Paese. “In Italia come nel resto dell’Occidente, la
crescita demografica raggiunge il suo culmine tra la fine del XIII e l’inizio
del XIV secolo, ragione per la quale il 1300 viene generalmente scelto come
punto di osservazione quando si cerca di valutare il livello
dell’urbanizzazione”, sostiene lo storico.
In quel torno di tempo Milano è
la città più popolosa (circa 180 - 200.000 abitanti), seguono Venezia, Firenze
e Genova (circa 100.000 abitanti cadauna); quindi viene la fascia delle città
che hanno tra i 30 e i 50.000 abitanti: Bologna, Siena e Pisa hanno ciascuna
circa 50.000 abitanti, Brescia, Cremona e Roma circa 40.000, mentre Verona e
Padova ne hanno più di 30.000. Il numero delle città con una popolazione
compresa tra i 15.000 e i 30.000 abitanti ammonta a 27 così distribuite: 3
Lombardia, 1 Piemonte, 2 Veneto, 4 Emilia-Romagna, 3 Toscana, 6 Marche, 6
Umbria, 2 Lazio. Infine, le città con una popolazione tra i 5.000 e i 15.000 abitanti
sono 53, distribuite in maniera molto diversa tra nord e centro Italia: 10
circa al settentrione, non meno di 43 nel mezzo (10 in Toscana, 16 nelle
Marche, 8 in Umbria, 9 nel Lazio). Il tutto con un tasso di urbanizzazione di
almeno il 22-23%, pari se non superiore a quello delle Fiandre e della Spagna
islamica, due aree anch’esse in forte espansione, ma molto più piccole
dell’Italia.
Interessante - nota Vigueur – “è
l’esistenza, specialmente nelle quattro regioni dell’Italia centrale, di un
fitto reticolo di piccole città, tutte di dimensioni inferiori ai 15.000
abitanti”, che “vengono ad aggiungersi, in Toscana, a una rete già molto densa
di medie e grandi città, mentre nelle Marche, in Umbria e nel Lazio compensano,
in una certa misura, l’assenza quasi totale di grandi centri urbani”. “In tutti
i casi - continua - si tratta non di grossi centri rurali, ma di autentiche
città, di città in miniatura se vogliamo, che comunque possiedono tutte le
caratteristiche delle grandi città, sul piano sia urbanistico-architettonico ed
economico-sociale sia politico-culturale”.
Il policentrismo del centro
Italia e delle Marche in particolare ha qui la sua origine, al punto che
potremmo dire che non molto è cambiato da allora, se non fosse per il generale
aumento della popolazione, l’espansione della Capitale e lo spopolamento
dell’Appennino, con lo sviluppo dei sistemi vallivi e delle città costiere.
Fenomeni, questi, certamente di grande rilievo, ma che non hanno ridotto
l’assetto policentrico.
Il fenomeno dell’urbanesimo determina
l’emergere di nuove classi sociali che producono un mutamento politico con
l’insediamento di nuove magistrature e la progressiva affermazione di governi
popolari, in una dialettica costante non solo con i poteri precedenti, quello
vescovile e quello dell’aristocrazia militare (militia), ma anche e
soprattutto con i poteri sovracomunali, come l’Impero e il Papato o
l’espansionismo angioino e delle città maggiori. Relative alleanze incluse. Fino
alla prima metà del Trecento, quando la peste nera del 1348 segna una cesura
epocale e i processi di concentrazione e verticalizzazione del potere si
accentuano con l’instaurarsi delle Signorie e la costruzione delle statualità
territoriali.
I governi del Popolo sono
l’espressione delle prime origini del pensiero e del movimento democratico.
Progressivamente essi assumono la consapevolezza dell’importanza dello spazio
pubblico come sfera di manifestazione e attuazione del diritto di ciascuno alla
cittadinanza, ragion per cui detto spazio deve rispondere a criteri di utilità
pubblica, ordine, decoro e bellezza (ornamentum). È il concetto di bene
comune che si afferma e ciò viene evidenziato con la costruzione di edifici che
incarnano questo valore, abbelliti da cicli pittorici che veicolano il nuovo
messaggio - come nel caso della Allegoria ed effetti del Buono e del Cattivo
Governo nel Palazzo Pubblico di Siena. L’edificazione dei Palazzi del
Popolo, di cui in Italia restano tutto sommato pochi ma straordinari esempi, è
l’emblema di una stagione. In alcuni casi i tempi della loro ultimazione coincide
quasi con le lunghe e complesse fasi dell’egemonia popolare.
Vigueur, mentre fa notare la
differenza di queste nuove costruzioni con le sontuose cattedrali opera dei
vescovi, alle quali non è tuttavia estraneo l’intervento del potere comunale, o
con le torri e fortificazioni interne alla città, tipiche delle famiglie
aristocratiche più potenti, descrive in maniera lineare ed efficace l’impatto
delle scelte dei nuovi governi sul paesaggio urbano: piazze, fontane, cinte
murarie, ma anche strade, acquedotti, pozzi, cisterne, fossati, mercatali,
logge del grano, insieme all’urbanizzazione di nuove aree a ridosso del centro
demico più antico, per la cui realizzazione risultano decisivi i possedimenti e
l’iniziativa degli ordini religiosi, sollecitati da presso dagli stessi poteri
comunali.
Qui s’insediano non solo i nuovi
cittadini provenienti dal contado o dai castelli conquistati, ma si
moltiplicano i mestieri che vanno ad ampliare la ristretta offerta interna alla
prima cerchia di mura, disperdendosi e concentrandosi nella città, a seconda
dei casi: vignaiuoli e ortolani, bovattieri, lanaioli, linaioli, oleandoli,
baldigrai, chiavaioli, medici e speziali, calderai, cartai o cartolai,
pellicciai, conciatori, callegari, beccai, pescivendoli, cordovanieri,
cambiavalute, sarti, fabbri, mercanti, falegnami, vasai, armaioli, fornaciai,
cuochi, notai, il cui “collegio” in particolare rappresenta l’enclave
intellettuale della guida politica e ideologica del regime di Popolo insediato
nel governo cittadino.
Nella sola città di Bologna, alla
data del 1294, si possono contare 23 Arti o società di mestiere, con 10.684
iscritti, distribuiti nelle 99 “cappelle” o parrocchie di appartenenza. Ampia
anche la massa dei salariati e delle donne attive; diffuse sono le botteghe, le
officine, i fondaci, i tiratoi, i mulini, le gualchiere, che sfruttano
l’energia idraulica e in alcuni casi costituiscono dei veri e propri siti
industriali tardo medievali, a seconda delle tipologie di manifattura,
accentrata (in un unico stabilimento) o decentrata (a tanti artigiani autonomi
e poi rifinita o assemblata in una sede centrale). Per finire con le vie dello shopping
che si affermano a partire dalla seconda metà del Quattrocento.
Vigueur abbraccia con lo sguardo
l’ampio panorama delle città medievali; si sofferma sulle più grandi, Firenze,
Milano, Venezia, Bologna, Siena; indugia sull’Umbria, Perugia e Gubbio, ma
anche Spoleto, suo primo amore; lascia un po’ in disparte le Marche, pur
segnalando in più di un passo la città di Fabriano per il suo austero Palazzo
del Podestà (XIII sec.), oltre che per la fontana Sturinalto, giudicando il
primo tra i più importanti monumenti italiani della stagione dei governi di
Popolo, annoverato insieme a quelli di Firenze, Siena, Perugia, Orvieto,
Gubbio, Padova, Bologna, Piacenza, Roma, Venezia, ed evidentemente a suo avviso
il più significativo delle Marche.
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