LE MARCHE NELLA TRASLAZIONE


Il libro di Fernando Frezzotti “La via degli Angeli. La traslazione delle pietre della Santa Casa” (Il Lavoro editoriale 2023) non costituisce soltanto il precipitato più maturo di uno studio quasi decennale dell’autore, ma - per ampiezza e articolazione di contenuti - rappresenta un contributo originale alla storia delle Marche della prima età moderna, con cui non si può non fare i conti.

La credenza popolare della “Venuta” della Santa Casa di Maria di Nazareth a Loreto nella notte tra il 9 e il 10 dicembre 1294 viene messa con i piedi per terra (e per mare…) e diventa quello che fu, una grande operazione religiosa, culturale e politica, concretizzatasi nell’arco di oltre un ventennio e capace di rispondere ad una serie di esigenze di valenza strategica sotto molteplici profili.

Va da sé che, se questo è stato, anche l’identità delle Marche, di quella che al tempo era la Marca Anconitana, parte dei territori della Chiesa di Roma e luogo in cui fu ospitata la principale reliquia della cristianità (dopo la Vera Croce), ne esce sensibilmente modificata e la sua storia bisognosa di alcune rivisitazioni non secondarie.

Frezzotti riesce con un approccio multidisciplinare, che chiama in causa la storia, la geografia, l’iconografia, la semiotica, la toponomastica e l’odonomastica, a ricostruire in maniera conseguenziale e credibile il lungo viaggio delle sacre pietre, inserendolo in uno scenario complesso che vede coinvolti attori di primo piano su uno scacchiere molto ampio.

È così che quel viaggio diventa alla fine il tentativo di ricucire una situazione geo-politica dell’Europa mediterranea molto frastagliata e ciò consente di dare anche alla nostra regione qualche elemento in più di autostima e di rilievo strategico. Il salvataggio della Santa Casa s’impone sotto la pressione mamelucca in Terra Santa; diventa argomento per il tentativo di riunificazione delle Chiese cristiane di Oriente ed Occidente e in Italia di definitivo superamento del conflitto tra Papato e Impero; assurge a fattore di un seppur breve investimento sulla Chiesa spirituale e non si esime dal farsi strumento di alleanze regali per il controllo del Mediterraneo orientale e per il riscatto di ambiti possedimenti.

Con un’ulteriore novità, quella di un Papa, Celestino V, che non si dimise “per viltade”; anzi, in maniera molto determinata portò a compimento il suo disegno, quello appunto di mettere al sicuro la preziosa reliquia, venendo per questo anche perseguitato.

In questo quadro riscopriamo anche il ruolo dei Templari, i monaci cavalieri addetti tra l’altro al recupero delle reliquie e alla tutela dei pozzi, e quello di una dinastia, gli Angelo Comneno, protagonisti dell’ultima fase della traslazione, nel 1291 da Pyli ad Arta, in Epiro, e nel 1294 da qui fino ad Ancona, al seguito della principessa Ithamar-Margherita, promessa sposa a Filippo di Taranto, figlio di Carlo II D’Angiò.

Quindi, la sorda lotta che portò da ultimo al posizionamento della Santa Casa a Sancta Maria in fundo laureti, con i successivi adattamenti sul Monte Prodo e - infine - sulla via pubblica. Fine di un viaggio che ebbe una committenza, un governo, una esecuzione, i suoi retroscena e che diede vita fin da subito ad uno dei culti religiosi più fortunati in termini di devozione, più rappresentati iconograficamente, più diffusi universalmente e ad un Santuario tra i più belli e visitati della cristianità.

Inoltre, un culto capace di produrre un’identificazione così forte tra il territorio e la Santa Casa da farne forse l’elemento identitario più netto e unificante del “Paese che siede tra Romagna e quel di Carlo”. Al punto che la stessa istituzione regionale, per farsi più vicina ai marchigiani, ha scelto il 10 dicembre per celebrare la Giornata dell’autocoscienza collettiva.

Con un’appendice, che tale non è: l’interpretazione “metonimica” dell’affresco che si trova all’interno della Santa Casa, unico nel suo genere e che fu realizzato poco dopo il compimento della definitiva ubicazione, ovvero nella prima decade del XIV secolo. Le immagini ritrarrebbero i protagonisti della traslazione, a partire da Bartolomeo Angeli insieme al figlio Benedetto, il sacro militare ordine costantiniano di San Giorgio e San Venanzio martire, il patrono di Camerino, città ancora oggi piegata dal terremoto.

Richiamandosi alle modalità allegoriche in uso all’epoca e alla damnatio memoriae seguita alla fine dei Templari, Frezzotti individua nel San Venanzio martire la metonimia di Guillame de Beujeu, il Gran Maestro dell’Ordine templare protagonista delle prime due traslazioni: nel 1273 da Nazareth a Cipro, via San Giovanni D’Acri, e nel 1283 da Cipro a Pyli in Tessaglia. Lui, che era stato anche il protagonista del recupero delle reliquie di San Venanzio martire, asportate da Camerino dopo il sacco svevo del 1259 e restituite dieci anni dopo alla città, e che era morto nell’estrema difesa di San Giovanni D’Acri nel 1291, il 18 maggio, proprio il giorno in cui si venera San Venanzio martire.

Il “codice della traslazione”, come lo definisce l’autore, che ricorda la partenza da Arta e non da Tersatto o Fiume e il ruolo svolto dai vari protagonisti del trasporto per terra e per mare, diventerà una costante nella trasmissione del culto e nelle sacre rappresentazioni, fino al progressivo subentro della leggenda del volo della Santa Casa sorretta dagli angeli, che si diffonderà tra Cinque e Seicento.

Quel codice, tuttavia, continuerà ad essere tramandato, come dimostra l’associazione costante tra Madonna di Loreto e San Venanzio martire o la presenza in certa iconografia lauretana delle immagini di Arta e Ancona o delle figure di San Nicola da Tolentino e Salvo da Recanati o, ancora, come suggeriscono alcuni toponimi e odonimi giunti fino a noi e altri che sono stati soppiantati dal tempo.

La “riscoperta” di San Venanzio nello spazio esclusivo della Santa Casa, dentro quella reliquia così importante che segna la vocazione delle Marche a volgere il suo sguardo ad est, riguadagna indubbiamente alla considerazione di molti l’importanza che la città di Camerino ha avuto per secoli dall’Appennino al mare Adriatico, e quanto sia importante per la nostra identità regionale e nazionale aiutarne la rinascita, ma spiega anche il perché della straordinaria presenza di San Venanzio in tutto il Centro Italia, tanto da risultare il santo vessillifero più diffuso. Santo della riscossa guelfa, certo, ma anche figura simbolica che rimanda a significati molteplici.

Più di tutto, però, il libro di Frezzotti costringe gli addetti ai lavori ad una impegnativa reinterpretazione in chiave critica di quanto la storia successiva a quell’evento eccezionale ha prodotto nell’arte e nei simboli, nei luoghi e nel senso comune. Un evento che le Marche conseguirono di risulta, come spesso accade, nella carambola di un gioco più grande, tra Roma, Napoli e l’Aquila. Ma questo è un altro discorso che ci porterebbe troppo lontano…


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