GARDEROBE O SALA?




Quando l’ignoranza si sposa con l’ideologia non ce n’è per nessuno. L’esordio della campagna pubblicitaria del Ministero del Turismo per promuovere il Bel Paese all’estero, denominata “Open to meraviglia”, oltre ad essere subissata di critiche per la scelta fumettistica della Venere di Botticelli nelle vesti di turista e influencer simil Ferragni, è riuscita anche a storpiare i nomi delle città italiane.

Non è stato un caso di sbadataggine o di ignoranza, ma - io credo - una cosa in qualche modo voluta. Se pensiamo, infatti, che autorevoli esponenti della maggioranza di governo e sodali di partito della Ministra Santanchè hanno dichiarato guerra alle parole straniere, le quali andrebbero rigorosamente tradotte in lingua italiana, al fine - secondo loro - di tutelare l’italico idioma, va da sé che anche le parole italiane dovrebbero essere rese nella lingua di appartenenza quando ci si rivolge a degli stranieri.

Coerenza chiama coerenza, ed ecco che nella versione tedesca Brindisi è diventata “Toast”, Fermo “Stillstand”, Prato “Rasen”, Cento “Hundert”, Scalea “Treppe” e Camerino “Garderobe”, con buona pace di chi per rispetto o cautela non ha mai azzardato tanto, ma soprattutto di quelle schiere di studiosi, storici e filologi, che da secoli si sono interrogati sulla genesi dei nomi delle città e sul loro significato, senza giungere spesso a conclusioni inequivoche.

Per rimanere al solo caso di Camerino, di cui posso dire qualcosa, non è tuttora chiaro che cosa significhi il suo nome. Gli studiosi hanno oscillato tra Camars Cluentum, che nel dialetto antico umbro vorrebbe dire “rocca del Chienti” (Radke), e Camerinum inteso come “muraglia tra sorgenti di fiumi”, quelle appunto del Chienti e del Potenza (Semerano).

Molto candidamente gli esperti ingaggiati dal Ministero hanno finalmente sciolto ogni enigma e dato una risposta a quesiti secolari, complessi come lo sono le storie di ogni città. Mi vengono alla mente alcune leggende popolari, sicuramente più giustificabili dell’attualismo antistorico degli esperti di marketing turistico, che narravano come il vero nome di Camerino fosse “Camerte”, ma che poi a seguito di un grande terremoto sarebbe stata chiamata “Camerino”, a significare con il diminutivo l’avvenuta perdita di ampie parti della città.

Non credo che queste leggende siano arrivate fin nelle stanze ministeriali, ma la cosa più grave è che evidentemente neppure la notizia degli effetti del terremoto che più di sei anni fa ha reso il centro storico di questa cittadina dell’Appennino marchigiano uno spazio chiuso e quasi deserto deve esservi ancora giunta. Oppure l’hanno dimenticata... Ai sentimenti di sconcerto, ilarità e ironia, suscitati dalle baggianate sicuramente ben pagate della campagna turistica nazionale, nei Camerinesi e in chi conosce che cosa abbia significato il dramma del sisma del 2016/2017 per un territorio interregionale molto ampio e già fragile, sono sicuramente prevalsi quelli di indignazione e disprezzo.

Qualcuno, più per appartenenza politica che per reale sincerità, ha cercato di dissimulare buttandola sul “purchè se ne parli”. Ma non è con il ridicolizzare le situazioni che si contribuisce a risolverle.

Lo sapeva bene lo storico di questa città, Camillo Lilii, il quale, ricostruendo la vicenda - anch’essa traumatica - che portò nel 1545 alla permuta del Ducato di Camerino con quello di Parma e Piacenza e al passaggio del primo nel diretto controllo della Sede Apostolica, dopo secoli di storia improntata ad una relativa autonomia, così rispondeva a distanza di circa un secolo alle ironie del tempo:

“Pubblicata, che fu la permuta vi fu chi disse, ch’il Ducato di Camerino, o non sarebbe stato in effetto restituito dal Duca Ottavio (Farnese), o che quel cambio riuscirebbe somigliante a quello, che fece Glauco con Diomede; e che per due Sale si sarebbe dato un Camerino. Per non entrare in paragoni odiosi, non intendo discorrere sopra questa propositione, che per il volgo si sparse allora, ne meno voglio riferirne ciò, che difusamente in contrario se ne discorse nelle Congregationi, in Trento, mentre si celebrava il S. Concilio, come largamente ne’ diari di Angelo Masciarelli Vescovo di Telesia, e in Roma nei Concistori. So ben di certo, ch’a chi senza passione osserverà le guerre sostenute con le proprie forze da’ Camerinesi, per tanti anni contro Federico Cesare, il Re Manfredi, Francesco Sforza, e le più recenti delle rivolutioni civili, sarà facile il giudicare s’il Ducato di Camerino havesse forma di Camera, o di Sala” (Dell’Historia di Camerino, Parte Seconda Libro Decimo).

Ecco, più che un “Garderobe” una Sala, termine tra l’altro d’origine longobarda che non avrebbe bisogno di traduzioni. Una città dalla storia plurimillenaria, ma tutta da ricostruire. Non tediamo, tuttavia, con queste cose la Ministra Santanchè, troppo impegnata a promuovere il turismo del Bel Paese.


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