PERCHE' FABRIANO?
“Non era tanto contento della bellezza e del fascino della sua città,
quanto della bellezza de' suoi palazzi, e della mole de' pubblici edifizi,
e della fama de' suoi lavori,
ma non meno stupito della moltitudine del popolo,
che trovò così affollata di numero di operai e di mercanti,
che non si poteva paragonare a molte città italiane e loro nobili,
ma parrebbe che si potesse anche preferire per diritto”
(Johannis Simonetae, “Rerum Gestarum Francisci Sfortiae”, L. IV – c.180)
Se vi è un luogo nel quale si condensano oggi le sfide che le Marche devono affrontare, esso è Fabriano. Il susseguirsi delle crisi, economica, sismica, pandemica, geopolitica, che siamo oramai abituati a elencare senza riuscire a comprendere che cosa le renda pezzi di uno stesso problema di fondo, ha messo in discussione uno dietro l’altro il sistema produttivo, le forme urbane, il sistema del welfare territoriale, il senso di sicurezza e apertura delle comunità.
Siamo di fronte a qualcosa di spiazzante e impenetrabile, a cui rispondiamo spesso con un altro elenco, quello delle cose da fare. Le Marche sono di fronte ad un complesso processo di ricostruzione, che è sempre anche di innovazione e cambiamento.
Questi processi trovano in
Fabriano e nel suo territorio un caso emblematico per l’intero sistema
regionale. Non solo perché qui la grande crisi del 2008-
Non solo per questo, che pure è molto, anzi tantissimo. Ma essenzialmente perché Fabriano è un Giano bifronte. Castelvecchio e Castelnuovo sulle rive di un fiume omonimo. È polo urbano e area interna, è estensione e altitudine, è grande impresa e mondo rurale, è nodo infrastrutturale e reti di prossimità, è ferro e carta, innovazione e custodia delle tradizioni, benessere e questione sociale. E’ la città post-moderna, la città-territorio, di cui parla Massimo Cacciari, e un territorio in cerca di città. In un unico luogo si giocano tante partite, tutte vitali.
Fabriano è questa ambivalenza, che la rende una realtà eccentrica rispetto al contesto regionale, ma al contempo un condensato delle contraddizioni che le Marche si trovano a vivere. Se la testardaggine ha consentito di avviare qui quel che le Marche sono poi diventate, oggi non a caso da Fabriano muove l’interrogativo sul futuro di un’intera regione.
Facciamo qualche esempio, cercando di entrare nel merito di alcune questioni vive.
Se le dinamiche demografiche che riguardano l’entroterra hanno fatto parlare di “spopolamento programmato”, intendendo con ciò il tema vero della necessità di un certo livello di densità demografica per garantire la sostenibilità dei servizi educativi, sanitari, trasportistici, oltre alla produttività che solo i contesti urbani ben organizzati riescono ad esprimere, ciò vuol dire che occorre contrastare l’impoverimento di servizi nelle poche aree urbane presenti a salvaguardia di tutte le aree interne della regione, le quali hanno in Fabriano il loro maggiore polo del lavoro e il perno di una linea di resistenza la cui rottura rappresenterebbe la definitiva desertificazione dell’entroterra.
Per questo bisogna restituire a Fabriano il pieno status di città-polo, perché oggi tutte le 11 città così classificate dall’Istat insistono sulla costa o nella media collina e non è possibile che l’intero entroterra, che rappresenta oltre il 50% del territorio regionale, non abbia nessuna città che garantisca un’offerta e un livello di servizi essenziali rispettosi del diritto di cittadinanza. Questo significa, in soldoni, una cosa più di altre, che nell’entroterra si deve poter nascere, non solo morire. Se guardiamo, infatti, la dislocazione dei punti nascita nella regione Marche, essa coincide con le 11 città polo suddette, fatta eccezione per Urbino, città co-capoluogo di provincia.
A Fabriano, poi, si gioca la scelta di fondo sul futuro dell’industria e della manifattura regionali. La costruzione dell’identità culturale delle Marche come regione artigiana, manifatturiera e industriale, avvenuta nel secolo scorso, ha bisogno di un nuovo investimento in linea con le ambizioni europee e nella direzione della formazione delle competenze, del trasferimento delle tecnologie, dell’innovazione 4.0, nella robotica e nell’AI. Il distretto fabrianese ha conosciuto, forse prima di altri, la sua trasformazione da realtà con caratteri spontanei ed endogeni a luogo privilegiato d’insediamento di players internazionali (Franke, Whirlpool, Electrolux, Bain Capital, etc.). Quel che oggi vediamo accadere in altri luoghi delle Marche, complice la rivisitazione in corso delle filiere produttive e la ricerca nei bacini tradizionali del saper fare di imprese da integrare dentro gruppi multinazionali, qui è già avvenuto per la presenza e le vicende di attori locali strutturati e internazionalizzati. Non è, quindi, un azzardo pensare a Fabriano come nuova piattaforma produttiva di iniziative di reshoring e come distretto in cui favorire la crescita di piccole e medie imprese innovative, in rapporto con le Università, i DIH e la formazione tecnica superiore.
L’attrattività della città quale rinnovato polo del lavoro, non può che accompagnarsi ad un programma di rigenerazione urbana di spazi e luoghi, di aree dismesse e pezzi della città pubblica in chiave energetica, green e digitale. Le suggestioni del Documento strutturale del 2012 sui “corridoi di valorizzazione” e le “microcittà” conservano una loro validità euristica, soprattutto per quel che riguarda alcune aree che interpretano un aspetto identitario della città (es: ex-cartiere) e richiedono ormai l’individuazione di progettualità concrete di trasformazione, capaci di cogliere le opportunità di una nuova stagione dell’intervento pubblico e pubblico-privato, nel segno della cultura come driver di uno sviluppo sostenibile.
Da ultimo, ma non per importanza, la piena esplicitazione del ruolo territoriale di Fabriano, capoluogo delle aree interne della regione, porta occidentale delle Marche tra Adriatico e Tirreno, forum della viabilità interregionale umbro-marchigiana (Ancona-Perugia) e pedemontana, nonché pivot del sistema territoriale integrato disegnato dal Quadrilatero di penetrazione interna Marche-Umbria (Fabriano-Gubbio-Foligno-Camerino/Tolentino), ha bisogno del completamento della linea ferroviaria Orte-Falconara, in direzione est-ovest, e della Pedemontana delle Marche in direzione nord.
Se ne gioverebbero i collegamenti con la Capitale e con la piattaforma logistica porto-aeroporto-interporto, le esperienze di valorizzazione e promozione culturale e turistica, le progettualità Unesco come Fabriano Creativa, l’accessibilità e la fruizione sostenibile di ecosistemi, beni culturali sparsi, circuiti e cammini, e la possibilità che le città storiche dell’Appennino, da Urbino ad Ascoli, emergano come un itinerario culturale da riscoprire, per la loro ricchezza e creatività. Le stesse che colpivano nel 1436 Francesco Sforza, entrato in Fabriano, e che è oggi comune responsabilità rinnovare e tramandare alle nuove generazioni.
Commenti
Posta un commento