UNA CITTA’ POLO PER LE AREE INTERNE DELLE MARCHE
Innanzitutto, sulla realtà delle cosiddette “aree interne”; parliamo del 59% della superficie nazionale, dove vivono circa 13,1 milioni di abitanti (23% della popolazione), e di 3834 Comuni (il 48,5% del totale) classificati come intermedi, periferici e ultraperiferici in base alla distanza - misurata in tempi medi di percorrenza stradale - dai Comuni polo o polo intercomunale più vicini in grado di fornire simultaneamente i servizi essenziali nella salute, nell’istruzione e nella mobilità.
Che cosa s’intende per servizi essenziali? Un ospedale sede di Dipartimento di emergenza e urgenza, almeno un liceo classico o scientifico e almeno uno fra istituto tecnico e istituto professionale, una stazione ferroviaria almeno di categoria Silver, cioè medio-piccola. Stiamo parlando della possibilità per le persone di usufruire di servizi fondamentali che garantiscono il rispetto dei diritti di cittadinanza.
Per capirci ancora meglio, chi vive in un Comune intermedio dista 40,9 minuti da un Comune polo, chi vive in un Comune periferico 66,9, chi vive in un Comune ultraperiferico oltre i 66,9. Non sono in gioco soltanto uguali opportunità e condizioni di partenza nel percorso di vita dei singoli, ma spesso la possibilità di essere adeguatamente curati e di avere salva la vita.
Ebbene, la nuova classificazione, elaborata tenendo conto dei servizi effettivi e delle distanze riscontrabili alla fine del 2019, nonché dei dati emersi dal Censimento della popolazione 2020, ci dice che - rispetto alla precedente mappatura che è stata alla base della Strategia nazionale delle Aree interne (Snai) e della programmazione europea 2014-2020 - calano i Comuni polo e polo intercomunale (da 339 a 241), dove vivono circa 22 milioni di abitanti, mentre aumentano quelli periferici e ultraperiferici.
Inevitabilmente aumenta il numero di persone che si sposta dalle aree più marginali e isolate per avvicinarsi ai centri in grado di offrire maggiori servizi. La stessa dinamica è osservabile nelle Marche e non solo per gli effetti del sisma del 2016-2017 su un’ampia parte del territorio.
Da noi i comuni polo e polo intercomunale scendono da 19 a 11, mentre quelli periferici e ultraperiferici passano da 25 a 42. In termini di popolazione ciò equivale ad un calo di circa 120.000 abitanti tra quelli meglio serviti e ad un aumento di circa 84.000 tra quelli meno serviti. Ciò è evidentemente la conseguenza di una rarefazione e dequalificazione dei servizi essenziali, in primo luogo di tipo sociosanitario. Tutto ciò si lega, poi, a fenomeni centrifughi come quelli che abbiamo conosciuto e continuano ad interessare il nord delle Marche, dove al netto dei 9 Comuni passati in Emilia-Romagna, ce ne sono altri 11 che hanno il loro polo di riferimento nelle città romagnole di Riccione e Rimini, o il Camerinese, dove 14 Comuni (tra cui la stessa città di Camerino) hanno quale polo di servizi più vicino la città umbra di Foligno.
Singolari le situazioni di città come Urbino, comune intermedio con polo di riferimento Fano, e di Fabriano, comune periferico con polo di riferimento Jesi. Tutto ciò, per quanto possa apparire discutibile se guardiamo alle relazioni territoriali più generali, non è controvertibile su un punto e cioè che il vasto entroterra montano marchigiano, che rappresenta il 52% del territorio e il 16% della popolazione, non ha neppure una città polo con tutto ciò che ne consegue.
Infatti, le 11 città polo e polo intercomunale sono: Pesaro, Fano, Senigallia, Ancona, Jesi, Macerata, Civitanova Marche, Fermo-Porto San Giorgio, San Benedetto del Tronto e Ascoli Piceno. Nessuna dell’entroterra. A ciò si aggiunge un ulteriore problema; le politiche pensate per il rilancio delle aree interne, come ad esempio la Snai, che nelle Marche ha riconosciuto tre nuove aree pilota che si aggiungono alle tre già operanti, escludono le città che continuano a svolgere una funzione essenziale per il territorio delle rispettive aree. È questo il caso di Urbino, Fabriano e Camerino.
Il recente finanziamento del progetto di Green Community dell’Unione montana Esino-Frasassi è, da questo punto di vista, una interessante novità. Ma più strategicamente, se si vuol dare una vera prospettiva alle aree interne e non confinarle nella retorica dei borghi o nell’enfasi della “turistizzazione”, bisogna pensare a degli investimenti che rafforzino la dotazione di servizi fondamentali di alcune città perno di territori ampi e fragili, così da farne punti di riferimento per i servizi ai cittadini e contesti favorevoli allo sviluppo produttivo.
“Per nessuna regione italiana la partizione tra aree interne e sistema urbano litoraneo è significativa come lo è per la regione Marche” ha scritto l’economista Giampiero Lupatelli. Qui, più che altrove, essa “assume un significato politico profondo e in qualche modo costitutivo della identità regionale”. Non possiamo che condividere, ma occorre agire.
Commenti
Posta un commento