FUGA DALLA RESPONSABILITA’



Per chi ha avuto la pazienza di seguire il dibattito parlamentare sulla crisi di governo, fatta la tara sulla “varia umanità” che siede nel massimo consesso della nostra democrazia, specchio del Paese, una cosa più di tutti è balzata agli occhi: la fuga dalla responsabilità.

È un tema non di oggi, ma che potremmo far coincidere con l’inaugurarsi della stagione della personalizzazione della politica, tanto generosa nelle promesse quanto modesta nelle realizzazioni, della quale rimangono ormai soltanto i cascami.

A fronte della densa e serrata agenda proposta dal Presidente del Consiglio sulle questioni da affrontare in un frangente di straordinaria emergenza per il Paese, alle prese con l’aumento del costo della vita, salari bassi e disoccupazione alta, povertà in aumento, rischio di recessione per la nostra economia gravata dal problema energetico e delle materie prime, attuazione del PNRR, pandemia che continua a imperversare e una guerra in atto alle porte dell’Europa che investe l’intero continente, la risposta delle maggiori forze politiche presenti in Parlamento è stata quella di non partecipare al voto.

Il “centrodestra di governo” ha con ciò contraddetto la sua stessa definizione, mentre il movimento 5 stelle, in preda alla sindrome dell’assedio, è venuto meno al ruolo di forza di maggioranza relativa, non solo per le divisioni che ne hanno contraddistinto l’esperienza parlamentare e di governo, ma soprattutto perché ha prima innescato e poi fatto precipitare la crisi, con ciò determinando l’unico esito possibile: il voto.

A nulla sono valsi i tanti appelli alla stabilità di istituzioni locali e società civile, preoccupate per la fine anticipata del governo e della legislatura di fronte alle difficoltà del prossimo autunno e allo spiazzamento che un simile esito avrebbe sull’impegno senza precedenti che tutta la società italiana sta mettendo per dare attuazione al piano europeo di investimenti per la ripartenza economica post-Covid. Che ne sarà ora di tutto ciò, degli impegni assunti, della nostra credibilità verso gli altri partner europei?

Assisteremo ad una campagna elettorale di promesse fantasmagoriche, quando invece dal giorno dopo bisognerà rimediare ai tanti danni che nel frattempo, in soli pochi mesi, si saranno prodotti. L’Italia tornerà ad essere sorvegliato speciale e forse stavolta non basterà la sola sorveglianza.

Vedremo il centrodestra magicamente ricomposto, senza alcuna coerenza, pur di acciuffare il potere e il movimento 5 stelle evaporare, mentre cerca di spiegare le ragioni per cui ha deciso di “togliere il disturbo”. Sono quelle stesse forze che con le loro posizioni hanno dimostrato come l’europeismo e il rapporto transatlantico, i fondamenti della nostra appartenenza al mondo occidentale, siano minoranza nell’attuale parlamento.

Infatti, proprio intorno alla necessità di una nuova agenda sociale e di investimenti innovativi e all’atteggiamento da tenere verso il conflitto russo-ucraino si è consumata la divaricazione più profonda dentro la maggioranza di “unità nazionale”. Su questo si sono divise le strade tra le forze di centrosinistra, che hanno garantito fino all’ultimo il sostegno a Draghi, e le forze populiste in fuga da ogni responsabilità.

La fine del cosiddetto “campo largo” e l’intenzione di non voler più essere “la protezione civile del Paese” pongono dei seri interrogativi al Partito Democratico, che deve prendere atto della propria solitudine e cercare di produrre urgentemente un “fatto nuovo” per impedire che l’Italia venga trascinata nel gorgo dell’ingovernabilità.

Non tanto per la simpatia che nutriamo verso la protezione civile, ma soprattutto per il timore che neanche questa possa più bastare per salvare il nostro Paese, sta al PD assumere un’iniziativa politica per aggregare le forze responsabili, a livello civico, politico, sociale, e chiedere a Mario Draghi di porsi alla testa di questo schieramento, ora che anche lui ha scoperto la durezza e la bassezza della politica nostrana, da cui tuttavia non si può prescindere se vogliamo che l’Italia non vada alla malora. “La borghesia italiana non seppe unificare intorno a sé il popolo e questa fu la causa delle sue sconfitte e delle interruzioni del suo sviluppo”; tornano in mente le parole dal carcere di Antonio Gramsci.

È il tempo di un nuovo “stringersi a coorte” delle forze sane e responsabili del Paese, popolari e borghesi, del lavoro, dell’impresa e della cultura, che vogliono affrontare con coraggio e determinazioni le incertezze della situazione presente e traguardare il futuro dell’Italia in Europa e nel mondo civile, democratico e prospero. Differentemente ci aspettano sono impoverimento, retrocessione e imbarbarimento della vita politica e civile.

Uno scenario che forse possiamo ancora evitare.

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