MARCHE HUB O SPOKE?
“La nostra non è una regione collocabile fra quelle dell’Italia meridionale: ha in sé delle ricchezze, delle forze, delle capacità di lavoro ed imprenditoriali che le possono consentire, se saprà trovare il modo di inserirsi nel tipo di civiltà economica proprio del mondo moderno, di fare e di andare avanti”. Queste parole di Claudio Salmoni, scritte qualche anno prima del censimento del 1971 che avrebbe certificato l’avvenuta trasformazione delle Marche da regione agricola a industriale, riprendevano in realtà un lungo dibattito che dalla fine degli anni Cinquanta e per tutti gli anni Sessanta aveva tenuto banco nelle classi dirigenti regionali.
A seguito dell’impatto della
grande crisi del 2008-2012, il tema della “meridionalizzazione” delle Marche (o
“medianizzazione”, come sostenuto da Ilvo Diamanti) è riemerso e più di recente
è stato riproposto da chi, come Svimez, si è occupato dello stato di salute del
centro Italia alle prese con il post-sisma e la pandemia. Anche se ultimamente tutto
ciò sembra inghiottito nel più generale scenario di incertezza e difficoltà che
ha investito l’intero Paese, la questione di cosa saranno e a quali altre
regioni assomiglieranno le Marche - una volta che l’orizzonte dovesse
schiarirsi - resta aperta, è reale e si gioca adesso.
Infatti, è adesso che abbiamo il
più potente strumento di politica pubblica per rilanciare l’economia e il
livello di benessere delle Marche, ossia il PNRR, che deve aiutarci a
ricollocare la nostra regione nel suo alveo storico, quello della cosiddetta
Terza Italia o Nord-Est-Centro (NEC), riagganciando la parte più evoluta e
dinamica del Paese e tornando a svolgere la funzione di trasferimento di
saperi, tecnologie e progetti industriali propria di un territorio “cerniera”
come il centro Italia, ma soprattutto di una terra di passaggio tra nord e sud
come sono da sempre le Marche.
Nel cadenzato riproporsi a
distanza di 50-60 anni dello stesso tema, pur in forme del tutto diverse, - si
potrebbe persino risalire alla “questione marchigiana” d’inizio Novecento - vale
la pena ricordare tre dati che distinguono le Marche dal sud Italia: innanzitutto,
lo spirito imprenditoriale e la dotazione industriale della regione, poi il
tasso di istruzione e scolarizzazione della sua popolazione, infine i livelli
di mobilità e dei servizi. Di contro, vi sono anche dati che ci avvicinano al sud:
ad esempio, la spesa pubblica per abitante (11,7% rispetto alla media del sud
di 10,9%, nazionale di 12,7% e del centro-nord di 13,7%), il livello dei
redditi da lavoro dipendente, che è vicino a quello dell’Abruzzo, e delle
pensioni, che si avvicina ai valori di Sardegna e Sicilia.
La rigenerazione della cultura
imprenditoriale e del lavoro, insieme alla capacità di guardare alle realtà più
dinamiche del Paese e dell’Europa, non può che rappresentare l’orizzonte verso
cui concentrare l’attenzione e agire con coerenza. D’altra parte, non siamo
ancora in grado di prevedere quale potrà essere l’effetto dei processi di
de-globalizzazione o re-globalizzazione, che pandemia e guerra hanno inaugurato
e accelerato, sulle prospettive geo-economiche della nostra regione.
Alcune vicende da qualche tempo a
questa parte sembrano, invece, delineare un adagiarsi della nostra regione in
una posizione che non ne valorizza adeguatamente i punti di forza. La vicenda
non conclusa del rinnovo della governance dell’Autorità portuale del
medio Adriatico, l’idea che la Zona economica speciale (Zes) Marche debba
essere la mera estensione di quella abruzzese, pur avendo Ancona il porto
idoneo, e da ultimo l’importante riconoscimento ricevuto dal progetto di un Ecosistema
interregionale dell’innovazione, che tuttavia fa perno sull’Abruzzo, pur avendo
le Marche il sistema industriale più robusto tra le regioni coinvolte, sembrano
rispondere ad una politica che intende legare il destino delle Marche più alle
relazioni con il sud, che al suo essere sponda attiva per favorire l’aggancio
virtuoso con il nord del Paese.
Sicuramente è finito il tempo di
una “regione che è abituata a fare da sé e che può fare in larga misura da sé” -
come diceva Salmoni -, così come sono cambiati gli orientamenti politici delle
diverse Regioni. Ma almeno che le Marche siano hub e non spoke!
Daniele Salvi - Autore
de “La Post Regione”
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