RICERCA E ALTA FORMAZIONE PER L’APPENNINO DEL FUTURO



Con la firma di tutte le ordinanze attuative del Fondo complementare sisma da 1,78 miliardi si entra nel vivo di una sfida che non era scontata all’indomani dell’evento catastrofico del 2016, ossia quella di accompagnare la ricostruzione fisica con un programma di sviluppo unitario e sostenibile dell’area colpita.

Ciò si rendeva necessario per la particolarità del territorio interregionale interessato, prevalentemente appenninico e riconducibile al concetto di aree interne, da decenni afflitto da progressiva marginalità, declino demografico e dinamiche di spopolamento, sulla cui fragile struttura produttiva si era già abbattuta la grande crisi del 2008-2012.

Tenere insieme ricostruzione e sviluppo, come dicevamo con l’elaborazione dei “Nuovi sentieri di sviluppo per l’Appennino marchigiano”, era l’imperativo e quell’evidenza si è fatta strada man mano fino a far entrare il cratere sismico del 2016 all’interno del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nato nel frattempo con l’esplosione della pandemia e il cambio della politica economica dell’Unione europea.

“È il piano della speranza per la ripartenza del Centro Italia. E per la prima volta dopo un sisma si coniugano la ricostruzione materiale e lo sviluppo economico dei territori colpiti”, ha detto giustamente il Commissario straordinario alla ricostruzione Giovanni Legnini, sottolineando la novità che d’ora in poi sarà un binomio inscindibile nelle politiche emergenziali post catastrofe naturale. In tal senso va, ad esempio, la proposta di legge n. 3260 “Delega al Governo per l'adozione di un codice degli interventi di ricostruzione nei territori colpiti da eventi emergenziali di rilievo nazionale”, presentata alla Camera dei Deputati dal gruppo parlamentare del Partito Democratico.

Traducendo le direttrici di fondo del PNRR sull’innovazione digitale, la transizione ecologica, l’inclusione sociale, volte al superamento dei divari territoriali, di genere e generazionali, il pacchetto di misure per il rilancio economico e sociale, che vale 700 milioni, costituisce un formidabile banco di prova per il sistema produttivo, le PMI, il terzo settore e il mondo dell’università e della ricerca.

In tal senso “la nascita della prima rete integrata per l’innovazione e la ricerca tra le Università di un territorio così vasto che viene realizzata in Italia”, come ha definito il rettore dell’Università di Perugia Maurizio Oliviero la creazione di quattro centri di ricerca, uno per regione, con sede nell’area del cratere sismico, finanziati con 60 milioni di euro, rappresenta più di ogni altra scelta l’idea che l’Appennino contemporaneo è possibile.

Quella che andrà a definirsi nei prossimi sei mesi e poi a costituirsi concretamente sarà una rete di centri di ricerca che opereranno su tematiche strategiche sia in termini scientifici, che rispetto alle vocazioni territoriali: economia circolare e salute (Rieti), patrimonio culturale e ambientale (Perugia), scienze e tecniche della ricostruzione (Camerino), agroalimentare (Teramo).

La logica di network, l’organizzazione in hub & spoke, la multidisciplinarietà e interdisciplinarietà dei contributi e l’ottica applicativa dovranno presiedere alla costruzione dei centri di ricerca, non solo nel definire il perimetro delle relazioni interne a ciascuno, ma anche tra di loro, con l’obiettivo di fungere da attrattori di giovani competenze e di trasferire al territorio i risultati delle ricerche.

Nelle Marche, dove è prevista la costituzione del “centro internazionale per la ricerca sulle scienze e tecniche della ricostruzione”, con sede dell’hub presso l’Università di Camerino, l’intervento non solo si collega all’apporto che può venire da altre università e centri di ricerca, ma anche ad un complesso di altri interventi.

In primo luogo, può avvalersi del sostegno ai “progetti per la promozione della ricerca, del trasferimento tecnologico e della formazione universitaria” previsto dalla Legge di Bilancio 2021 per le università e centri di ricerca delle quattro regioni colpite dal sisma del 2016 e di recente attivato tramite specifico bando del valore di 60milioni di euro da parte dell’Agenzia della Coesione.

Poi, l’intervento ha delle obiettive sinergie con l’investimento previsto nel Fondo complementare al PNRR sui Recovery Art Project, una delle cui cinque sedi individuate sul territorio nazionale riguarda il sito demaniale delle ex-Casermette nel Comune di Camerino. La sua trasformazione in deposito attrezzato per i beni culturali è finanziato in quota parte anche dal Fondo complementare sisma. In questo ambito s’impongono relazioni con il centro di ricerca guidato dall’Università di Perugia, che si occuperà proprio di patrimonio culturale e ambientale, anche attraverso il potenziamento del deposito di Santo Chiodo di Spoleto.

Infine, altrettanto obiettiva è la sinergia con la costituenda piattaforma regionale Marlic, che si occupa di manifattura sostenibile, eco-sostenibilità di prodotti e processi per nuovi materiali e de-manufacturing, sempre coordinata dall’Università di Camerino, le cui interazioni possono essere ad ampio spettro.

Stiamo parlando di tutte esperienze di valenza almeno regionale che già includono o che dovranno includere la partecipazione di una pluralità di soggetti universitari, di ricerca, imprenditoriali, istituzionali, e che potranno giovarsi per le proprie attività della prossima programmazione dei fondi SIE 2021-2027. Che ciò avvenga avendo il suo baricentro in uno dei rari esempi di Università nelle aree interne, come ebbe a ricordarla nella sua prima intervista appena nominato l’ex-ministro dell’Università e della ricerca scientifica, oggi sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, lascia ben sperare.

Verrebbe da dire: non solo strade, ma anche ricerca, tecnologia e alta formazione per l’Appennino del futuro.

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