Riorganizzazione territoriale e nuova centralità della montagna - di Marco Moroni



I “Cantieri mobili di Storia”, promossi dall’Istituto storico di Macerata e dal Centro Studi Acli Marche hanno operato intensamente nei paesi del “cratere” in questi ultimi cinque anni, organizzando incontri itineranti, affrontando i temi da più parti indicati come cruciali per la rinascita delle comunità (dalle scuole alle foreste, dalla manutenzione del territorio alle cooperative di comunità) e favorendo la costituzione di gruppi locali, essenziali per la rinascita. Da questa esperienza nascono le riflessioni che seguono, riferite alle analisi e alle proposte contenute nel libro di Daniele Salvi La Post Regione. Le Marche della doppia ricostruzione (Il Lavoro Editoriale 2020).

 

Una cesura nella storia regionale

In esso si riconosce che il terremoto del 2016 e la pandemia del 2020 hanno rimesso in discussione il cammino intrapreso dalle Marche dopo il sisma del 1997; il terremoto del 2016 ha provocato un nuovo drammatico esodo (30.000 sfollati), ha bloccato la ripresa che era iniziata e ha fatto capire che per il futuro non si può puntare unicamente su turismo e cultura. A sua volta il Covid ha costretto tutti a ripensare i cardini del nuovo sviluppo ormai necessario, che dovrà poggiare su salute, sostenibilità e stili di vita più genuini, welfare mix e reti di prossimità.

A partire da questo ripensamento, credo si debba aggiungere una critica più esplicita a quanto fatto dalla Regione negli anni della X legislatura regionale. Non mi riferisco solo ai pesantissimi ritardi e al sostegno ad alcuni progetti chiaramente discutibili, ma soprattutto alla totale mancanza di coinvolgimento delle popolazioni locali e al fatto che si doveva puntare più decisamente su una ricostruzione partecipata.

Ovviamente non è solo un problema di partecipazione. Dobbiamo prendere atto che l’emergenza sismica e quella sanitaria hanno colpito una regione già in difficoltà a causa della crisi economica e finanziaria del 2008, con la quale per l’Italia dei distretti è finito un ciclo. I dati Istat e le analisi Svimez attestano che le Marche si stanno allontanando dalle aree più dinamiche del Paese. Il Rapporto Svimez 2020-2021 ha confermato una tendenza di fondo emersa già da anni, innescata dalla crisi del 2008 e documentata dal Rapporto “Marche + 20” redatto dal gruppo di studiosi coordinato da Pietro Alessandrini. Come previsto nel Rapporto “Marche + 20”, senza correttivi le Marche sono destinate a scendere sotto il livello medio italiano di sviluppo.

Nella regione i ritardi si sono accumulati. Dopo il 2008 il sistema produttivo marchigiano ha dimostrato una scarsa capacità innovativa; alla crisi del sistema bancario regionale si sono aggiunte alcune gravissime crisi aziendali e preoccupanti vendite di grosse aziende a imprese estere; il Covid ha fatto emergere con evidenza le gravi debolezze del Welfare marchigiano; la stessa coesione sociale è ormai a rischio, come varie vicende hanno dimostrato. Dobbiamo renderci conto che stiamo vivendo una vera e propria cesura nella storia della nostra regione.

 

Ricostruzione e nuovo sviluppo

Di fronte a questa realtà, giustamente Salvi evoca la necessità di conciliare ricostruzione e sviluppo, auspica una nuova visione dello sviluppo, ma riconosce che il tema di un nuovo quadro strategico regionale non è più al centro del dibattito pubblico. Con l’esplodere del Covid, infatti, sono emersi inevitabilmente altri obiettivi, in particolare la centralità del sistema di Welfare e la necessità di ripensarlo a livello regionale. Mentre il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza sta offrendo nuove opportunità, con l’emergenza climatica non poche delle priorità sono cambiate.

Sono condivisibili molte delle analisi contenute nel libro. Innanzitutto, non possiamo che concordare sulla necessità di accogliere le indicazioni della Strategia delle aree interne: non si ha rilancio se non vengono garantiti alcuni servizi fondamentali come sanità, istruzione, mobilità e accessibilità. Così pure, le nuove prospettive di sviluppo devono basarsi, oltre che su turismo, ambiente e valorizzazione del ricco patrimonio culturale, anche su innovazione tecnologica e alta formazione, ma non devono trascurare le attività manifatturiere in specializzazioni legate ai territori e ai caratteri fondanti dei nostri luoghi.

Interessanti anche le riflessioni sul policentrismo delle Marche; è possibile immaginare un nuovo modello incentrato su un equilibrio fra aree urbane, aree rurali e aree interne, in cui siano fondamentali l’innovazione sociale e la sostenibilità ambientale, ma servono nuove infrastrutturazioni digitali e, come si è detto, il potenziamento dei servizi essenziali.

Il ritorno nei luoghi dell’entroterra resta comunque un problema cruciale. Conosciamo molti “resistenti” e sappiamo anche di non pochi “ritornanti”. Il 16 novembre, presentando una ricerca del gruppo “Riabitare l’Italia”, il Corriere della Sera ha dedicato due pagine al fenomeno della “restanza”. Ma per una significativa inversione di tendenza servono precise scelte politiche che vadano nella direzione di favorire l’insediamento di giovani e in particolare di giovani coppie nell’area del cratere. Personalmente ho molto apprezzato, ad esempio, il riferimento alla ricomposizione fondiaria delle terre abbandonate, contenuto nel libro, perché è una richiesta che ho avanzato da tempo a vari esponenti politici regionali e ad alcune associazioni agricole (Coldiretti in testa), ma finora senza successo.

 

Post Regione: un nuovo modello per quale progetto?

Tutto questo richiede una riorganizzazione istituzionale e amministrativa. È una riorganizzazione che tocca i vari enti presenti nel territorio, compreso il Parco dei Sibillini, che non va dimenticato, anche se finora non è certo riuscito a svolgere un ruolo rilevante, essendosi limitato ai temi della salvaguardia ambientale. La riorganizzazione auspicata dovrebbe partire dai piccoli Comuni che - si dice nel libro - si devono aggregare nelle Unioni dei Comuni, ma inevitabilmente deve toccare il livello intermedio (che fare delle Province?) e anche il livello regionale. La “Post Regione” evocata nel titolo del libro richiede un nuovo progetto di regione, ma non è chiaro quale debba essere il nuovo modello.

Tutti concordano sulla necessità di affrontare il problema con un ripensamento dell’Ente Regione attuale, che in 50 anni ha mostrato molti limiti, ma poi le proposte divergono e talvolta appaiono inconciliabili. Vi è chi rilancia il federalismo e chi spinge invece perché lo Stato si riprenda il suo ruolo.

Il Covid ha obbligato tutti a rimettere in discussione alcune scelte del federalismo del recente passato. Con la pandemia sono emersi i rischi connessi agli ostacoli che le Regioni possono frapporre a quelle scelte unitarie che sono risultate necessarie durante l’emergenza sanitaria. Il Covid insomma ha fatto riemergere con forza il ruolo fondamentale che solamente lo Stato può svolgere. E non solo in tema di salute. Con l’emergenza climatica, accadrà la stessa cosa anche sui temi ambientali.

Questo vale non solo per ogni singolo Stato, ma anche per l’Europa. Credo vada detto che non dal Parlamento italiano, ma proprio dall’Europa negli ultimi anni sono venute molte idee innovative e molte indicazioni stimolanti. Certo, come abbiamo detto più volte, all’Europa dei tecnocrati dobbiamo sostituire l’Europa dei popoli, ma il ruolo dell’Europa è fondamentale. E lo sta dimostrando non solo con le idee innovative che ho citato, ma anche con il grande Piano di rilancio economico avviato quest’anno.

Nel quadro del rinnovamento istituzionale si colloca la proposta di rafforzare il ruolo delle regioni dando vita a una macroregione comprendente Marche, Umbria e Toscana. Il tema della macroregione non è nuovo ed è riemerso nel 2016 con le iniziative che hanno portato a un Protocollo di intesa firmato dai presidenti delle Regioni Marche, Umbria e Toscana. Occorreva da subito sperimentare concretamente un programma comune, iniziando dalle forme mirate di cooperazione fra le regioni previste dal Protocollo di intesa. Purtroppo, con le emergenze di questi anni, l’impegno dei tre “governatori” non ha più fatto passi avanti. E invece potrebbe essere utile per le Marche stabilire rapporti progressivamente più stretti con l’Umbria e soprattutto con la Toscana, sicuramente la più avanzata fra le tre regioni.

Se anche non si giungesse alla macroregione, la collaborazione con Umbria e Toscana potrebbe contribuire ad affrontare in modo più efficiente alcuni dei nodi problematici che si sono aggravati dopo la crisi del 2008: la politica industriale e l’internazionalizzazione, le infrastrutture (materiali e immateriali), la valorizzazione del patrimonio culturale e la salvaguardia delle risorse ambientali. Fra questi nodi va posto anche il tema delle aree interne e della nuova centralità della montagna.

 

Appennino: laboratorio di sostenibilità

Lanciato nel 2018 dalla Società italiana dei territorialisti e ripreso poi dalla Fondazione Symbola, quello della nuova centralità della montagna, come giustamente scrive Salvi, può apparire surreale in un mondo che indubbiamente è andato e sta andando nella direzione opposta: anche in Italia la popolazione ha abbandonato le terre alte per spostarsi nelle pianure ed ha abbandonato i piccoli borghi per concentrarsi nelle grandi città. Per il futuro tutti gli studiosi che hanno analizzato i grandi processi in atto prevedono una ulteriore concentrazione della popolazione mondiale in città sempre più grandi e in particolare in numerose enormi megalopoli. Ci sono però vari elementi a favore della montagna che non vanno trascurati. E anche in questo caso fondamentale è stato il ruolo dell’Europa che già venti anni fa aveva lanciato il Progetto A.P.E.: Appennino Parco d’Europa.

Con la necessità di un riequilibrio tra aree urbane, aree rurali e aree interne e con il cambiamento climatico, nel prossimo futuro il mondo avrà sempre più bisogno delle terre alte.  Ma già da alcuni anni ormai si è convinti che l’Appennino possa svolgere un ruolo ancora più rilevante: quello di divenire per l’intero Paese un “laboratorio di sostenibilità”. È un’idea che è stata messa al centro dell’Atlante dell’Appennino (realizzato dalla Fondazione Symbola e presentato a Treia nel 2018) e di una recente iniziativa dei Cantieri Mobili di Storia che ha preso il via da Recanati il 25 settembre scorso: “Paesaggi/passaggi per una nuova alleanza tra costa e montagna”. L’obiettivo è apparentemente semplice ma, nello stesso tempo, molto impegnativo: riscoprire le grandi potenzialità - non solo turistiche, ma anche socioeconomiche, culturali e ambientali - delle nostre zone interne appenniniche, capaci di indicare anche alle città costiere e collinari, apparentemente distanti, nuovi e sostenibili percorsi per il futuro. Il percorso indicato - a cui peraltro si fa cenno anche nel libro - è quello di una nuova alleanza costa-montagna, di una nuova dimensione di rete policentrico-solidale e di cooperazione interterritoriale. Una idea di civiltà - scrive Daniele Salvi - in cui smart land e smart city si diano la mano, superando dualismi e dicotomie. 

Per realizzare tutto questo le Regioni devono dotarsi di nuovi Piani strategici. Qualunque progetto strategico richiede però una notevole capacità di governo istituzionale: quella capacità che nelle Marche finora è apparsa molto debole. Oltre alla capacità di governo, serve infine una visione del futuro. È una visione che purtroppo, almeno finora, mi pare sia mancata alla Regione Marche.

 

 

Marco Moroni

Cantieri Mobili di Storia e Centro Studi Acli Marche

Commenti

Post popolari in questo blog

UNA ZES PER LE REGIONI IN TRANSIZIONE

UNA CARTOLINA DA CAMERINO FUTURA

OTTO ANNI DAL SISMA: SERVE UN’OPERAZIONE VERITA’ E UNA NUOVA POLITICA PER LE AREE INTERNE