LA POST REGIONE - di Carlo Vernelli
Il mestiere di storico è stato per me insieme rifugio e specola sul tempo attuale, ma ho tenuto ad affrontare gli scottanti problemi del presente con tono calmo e spesso senza rinunciare al sorriso. Fernand Braudel, Storia, misura del mondo, 1998, p. 25.
Questo libro di Daniele Salvi, LA POST REGIONE – LE MARCHE DELLA DOPPIA RICOSTRUZIONE, è una raccolta di brevi saggi e di articoli suggeriti dalle vicende quotidiane, data la sua attività amministrativa in Regione e quella politica legata al PD, di cui è stato segretario della provincia di Macerata, ma anche consigliere e assessore alla formazione, al lavoro e alle attività produttive di questo stesso ente.
I contenuti del volume però non possono essere paragonati ai post di facebook o di twitter, che ci inondano ogni giorno con i loro contenuti privi di spessore culturale, di conoscenze basilari e di capacità di ragionamento e di riflessione; gli argomenti trattati però non sono schiacciati sul presente anche se traggono spunto dai problemi che affiorano giorno per giorno dalle questioni del terremoto, della ricostruzione e dalla crisi economica insorta nel 2008. Infatti, quegli articoli e quei saggi si muovono su tutto l’arco temporale: passato-presente-futuro.
il passato (la chiesetta rurale sperduta tra i monti ma ricca di opere d’arte in parte disperse [p. 88] – le vicende dei Varano signori e poi duchi di Camerino che con la loro sapiente politica matrimoniale sono imparentati coi Della Rovere, i Malatesti, i Medici e gli Sforza [p. 103] – l’affresco con giudizio universale in cui sono raffigurati i Varano – le vicende di Cesare Borgia che tenta di costruirsi uno stato tra Marche e Romagna (p. 122) – la crisi agricola e demografica provocata dal peggioramento del clima dopo l’eruzione di un lontano vulcano del 1247: Samalas in Indonesia);
il presente (il declino economico e demografico delle aree interne, ma anche di tutta la Regione dopo la crisi del 2008 e il terremoto del 2016);
il futuro (il possibile destino della regione nella macroregione con Umbria e Toscana; il futuro destino delle micro città marchigiane, ormai simili a piccoli borghi rispetto alle megalopoli mondiali, quale destino sarà riservato alle città di 30-40.000 abitanti quando altrove è in forse il futuro di città come Rochester negli USA di circa 200.000 abitanti e sede di industrie che hanno un mercato mondiale come Kodak e Xerox?).
Questi argomenti sono affrontati da una persona fornita di una ampia cultura che va dai suoi studi universitari di filosofia (di cui si può notare un’eco in alcuni passaggi) alla storia marchigiana e nazionale, alla storia dell’arte, all’economia, alla sociologia alla poesia con uno degli ultimi saggi sul poeta chiaravallese Massimo Ferretti, i cui versi richiamano la vicenda esistenziale di Leopardi, che ha lavorato con Pierpaolo Pasolini. Alcuni articoli sono dedicati alle biografie di personaggi legati alla storia regionale (il gesuita camerte Bernardo Bitti (1548-1610) la femminista Alessandra Gariboldi (1873-1965); o conosciuti personalmente (il militante compagno di partito Giuseppe Belli (1944-2009).
È un libro quindi dal contenuto molto denso, pieno di citazioni e di riferimenti alla storia della Regione, ma anche attento ai risultati attuali della ricerca sull’economia, sull’urbanistica, sull’ambiente, sulle trasformazioni planetarie in atto. Alla complessità dei temi trattati corrisponde però una esposizione chiara, scorrevole e di facile comprensione, come quella di un bravo divulgatore.
Il volume è quindi ricco di spunti di riflessione e di contenuti aggiornati provenienti da pubblicazioni recenti, delle quali in sostanza fa una recensione ampia e particolareggiata. È un volume quindi che informa e forma il lettore, che voglia conoscere e imparare ad accostarsi ai problemi attuali.
Il problema centrale – dopo la crisi economica innescata dalle banche americane del 2008 – è quella del terremoto o meglio quella dei terremoti del 1997 e del 2016. L’autore riporta (p. 140) le polemiche politiche sulla ricostruzione, dopo le quali poi tutto tace: La catastrofe è stata di proporzioni gigantesche: 4 regioni coinvolte, 10 province con 600.000 cittadini, 8.000 kmq di territorio, 140 comuni, 2.000 tra borghi e frazioni, 45.000 edifici inagibili. C’è chi denuncia che non si è fatto niente, chi ipotizza complotti e strategie per fare abbandonare e per spopolare le aree del sisma.
C’è chi cavalca la protesta per avere consenso personale o di partito sui problemi contingenti, ma manca una politica di largo respiro e di lunga durata che dia linee guida per progettare il futuro. L’autore per un verso individua nella classe politica l’assenza di maturazione (p. 99) e ricorda che in Francia tutti i comuni si devono muovere – per legge – in ambiti sovracomunali; questo deficit di progettazione politica ha fatto sì che (p. 108) tra il sisma del 1997 e quello del 2016 i sindaci hanno riproposto, con pochi risultati, TURISMO-BENI CULTURALI-ENOGASTRONOMIA, ma (p. 111) anche la ricostruzione integrale di due borghi lesionati nel 1997 non ha riportato alla loro rivitalizzazione, inoltre il successivo sisma ha dimostrato l’aleatorietà di questa soluzione. La sua analisi critica è rivolta anche alla politica nazionale, che dopo i danni causati (p. 167) alla comunità nazionale dalle privatizzazioni con perdita di servizi e di entrate, dovrebbe di nuovo prendere iniziative per favorire l’economia.
Ha parole dure anche per l’opinione pubblica (p. 102) presso la quale si assiste al trionfo dell’individualismo, allo scambio dei propri desideri per diritti, e l’autore sostiene che in base alle analisi effettuate dall’ISTAO sul futuro delle Marche e al processo di digitalizzazione ci saranno nuove forme di ghettizzazione e nuove forme di resistenza irrazionale, perché il processo di transizione rischia di produrre “consumatori passivi e primitivi, piuttosto che cittadini consapevoli e competenti”.
Poiché anche le Marche sono inevitabilmente coinvolte in un processo globale di trasformazione è necessario che questo sia governato con interventi dall’alto (la politica) e dal basso (l’opinione pubblica), ma entrambe le parti devono andare oltre i facili slogan “andrà tutto bene “, “insieme ce la faremo” e “nulla sarà come prima” >> dalle crisi non si impara niente, anzi per superarle si inasprisce lo sfruttamento dei più deboli (p. 176) e non basta certo la partecipazione ai concerti del Risorgimarche per rivitalizzare le aree interne (p. 110). La crisi ha però avuto un effetto positivo, quello della eliminazione di alcuni luoghi comuni (l’autore richiama a questo proposito gli idòla di Francesco Bacone) come quello della demonizzazione politica dello Stato, seguita alla campagna contro la casta. Se questa andava corretta e combattuta per la sua corruzione, non andava combattuto e superato lo Stato, affidandosi al privato, visto come la soluzione di ogni male: si è visto come è andata in Lombardia e la rapacità degli affaristi (da Formigoni alla Pivetti). Senza la rete sanitaria pubblica non ci sarebbe stata una efficace risposta all’epidemia, nonostante gli anni di tagli alla rete ospedaliera, al numero degli operatori, alla quantità e qualità dei servizi.
>> personale: [ma come ottenerlo con l’analfabetismo di ritorno e quello funzionale, la mancanza di cultura di base, di informazioni fondate di fronte alle false notizie che imperversano, alla incapacità di comprendere un testo e di riuscire a formulare un pensiero (es. mio e Monte S. Vito – posizioni di incapacità di dialogo es. mio a Morro ostracismo avuto)].
>> personale: rivedere il decentramento regionale, che senso ha trattare i cittadini di un unico Stato in modo diverso secondo il luogo di residenza? Se ne erano già accorti Pio VII e il cardinale Consalvi dopo la parentesi napoleonica che nella premessa del Motu proprio del 6 luglio 1816 scrivono: «la unità ed uniformità debbono esser le basi di ogni politica Istituzione, senza delle quali difficilmente si può assicurare la solidità de’ Governi e la felicità de’ Popoli [...]. Questa certezza ci indusse a procurare per quanto fosse possibile la uniformità del sistema in tutto lo Stato appartenente alla Santa Sede [uniformità che] è così utile ai pubblici e privati interessi, perché formato colla successiva riunione di Dominj differenti, presentava un aggregato di usi, di leggi, di privilegj fra loro naturalmente difformi, cosicché rendevano una provincia bene spesso straniera all’altra e talvolta disgiungeva nella provincia medesima l’uno dall’altro paese».
L’autore ci pone di fronte ai problemi attuali della Regione (da ricostruire dopo la crisi economica del 2008 e i terremoti del 1996 e del 2016) e ai dilemmi che la realtà attuale ci obbliga a dovere affrontare. La realtà globale va verso la costruzione di sempre nuove megalopoli (p. 96) con il conseguente processo di desertificazione delle aree circostanti e soprattutto con gravi conseguenze per la democrazia, perché in queste città si creeranno ghetti per gli emarginati e un controllo sistematico della popolazione con la digitalizzazione. (p. 154)
La regione Marche invece ha avuto finora uno sviluppo policentrico con poche città di piccole dimensioni (rispetto alle metropoli europee e americane), e poi un processo di abbandono delle aree interne montane e altocollinari come anche degli antichi centri murati a favore dei fondivalle e della costa, con la crisi economica anche le valli interne sono soggette al calo demografico e all’abbandono dei tanti capannoni degli artigiani e delle piccole imprese che avevano fatto partecipare le Marche a quell’area in sviluppo detta da Fuà NEC (Nordest-Centro) che funzionava con la continua svalutazione della moneta, l’assenza di innovazione e della concorrenza. La nascita dell’euro, lo sviluppo dell’informatica, l’apertura dei mercati globali hanno minato alla base quel sistema.
Ma che cosa ricostruire e come ricostruire e soprattutto per fare che cosa?
Bisogna ripartire dall’esistente: ad esempio bisogna conciliare il policentrismo delle Marche (p. 152) [il giurista trecentesco Bartolo da Sassoferrato definiva la Marca = provincia castellorum] con la tendenza alla formazione di grandi concentrazioni; ciò significa potenziare le vie di comunicazione e renderle sempre più veloci >> ecco quindi la realizzazione della quadrilatero (che però comporta ulteriore consumo del suolo; inoltre ci si può chiedere: le strade più veloci comportano sviluppo economico? ora che ci sono vie più veloci non esistono più o sono in via di smantellamento i siti produttivi da Fabriano a Comunanza – serve forse uno sviluppo verso altro, diverso dai mercati che finora hanno tirato ma che sono ora saturi?).
Dopo avere presentato i problemi della Regione nella prima parte del volume, nella seconda vengono illustrate alcune ipotesi per risolverli.
Punto di partenza (p. 125) sono i patrimoni culturali dell’area, che sono come dei “granai” per capire il passato e nutrire il futuro.
Ecco che la storia può suggerire qualche ipotesi.
Importante il convegno tenuto a Camerino il 19 e 20 ottobre 2018 coordinato dalla prof.ssa Emanuela Di Stefano, da tempo attiva studiosa della storia della città e delle dinamiche demografiche ed economiche dell’area appenninica camerte-fabrianese, un convegno indispensabile per la conoscenza del territorio nella fase della ricostruzione post-sisma.
Camerino è stata per secoli il centro economico degli Appennini centrali con le sue produzioni all’avanguardia che esportava ovunque in Italia e in Europa (p. 159). Bisogna quindi incentivare la ricerca e la digitalizzazione, fare rete tra le comunità locali, unirle con la banda larga piuttosto che concentrare la popolazione in pochi centri consumando altro suolo. Qui entrano in gioco le università regionali, che hanno iniziato a progettare il futuro delle Marche insieme all’ISTAO (p. 120).
Servono però anche innovazioni istituzionali con il superamento dei campanilismi. Ad esempio l’annunciata unione tra Visso, Ussita e Castelsantangelo sul Nera che ritornerebbero un unico Comune come erano stati fino al 1911 [la cui superficie ricadrebbe per circa il 75% nel parco dei Sibillini] e le sue nuove dimensioni permetterebbero di partecipare ai bandi regionali per potere finanziare iniziative produttive; creare una qualche forma di collaborazione tra Camerino e Castelraimondo o addirittura porre l’attenzione su tutta la “valle nascosta” cioè quella sinclinale che va da Camerino a Matelica a Sassoferrato (p. 129) che fino ad ora ha fatto da argine allo spopolamento delle zone più interne della Regione. Ma è un’area che va da Comunanza a Fermignano che ha avuto fino a ora come centro Fabriano (p. 196).
Per superare la crisi dell’attuale sistema, che non regge più, bisogna puntare su un’alta formazione universitaria, sull’istruzione tecnica (ITIS e ITS) in sinergia con il sistema produttivo, bisogna rafforzare l’imprenditorialità legata alla creatività e al made in Italy, magari con norme fiscali che possono attrarre investimenti (p. 159).
Una proposta interessante e praticabile data la diffusione policentrica delle Marche è quella della rivitalizzazione dei borghi, indicata da vari architetti a cominciare da Stefano Boeri. I piccoli comuni sono 227, di cui 161 sotto i 5.000 abitanti (p. 201). Tornare ai borghi significa superare la mobilità frenetica, l’inquinamento, la congestione per mirare a riorganizzare i tempi di vita e di lavoro, una alimentazione più genuina, spazi aperti, >> certo bisogna fornirli di una rete digitale efficace e di servizi sociosanitari e scolastici per rompere il ciclo negativo: calo demografico-riduzione servizi-fuga dai piccoli centri. [p. 142] A questo proposito l’autore riporta gli elementi essenziali del volume di Enrico Borghi (PD), Piccole Italie. Le aree interne e la questione territoriale (p. 74) sul rischio spopolamento e la scomparsa di centinaia di comunità interne in tutta Italia (bisogna creare nuovi bacini territoriali omogenei per occuparsi di strade-scuole-centrali di committenza-progettazione europea-servizi informatici-formazione del personale comunale).
Per non conservare nella emarginazione e nell’isolamento le aree interne si ipotizza pertanto l’innovazione digitale, strade a scorrimento veloce con il completamento della “quadrilatero”, il raddoppio della Falconara-Orte, l’elettrificazione della Civitanova-Albacina e anche l’alta velocità della linea ferroviaria adriatica da spostare affiancandola alla autostrada. Questo comporterebbe l’abbandono della attuale linea ferroviaria costiera che potrebbe diventare una pista ciclabile lungo l’Adriatico.
Per uno sviluppo sostenibile bisogna riusare quanto costruito, per non usare altro suolo, e progettare gli interventi in una ottica interregionale [p. 152].
Il Commissario straordinario alla ricostruzione Giovanni Legnini nel 2020 è fermamente convinto che la semplice ricostruzione materiale non è sufficiente a rilanciare i territori dell’Appennino, come nei casi di Belvedere di Fabriano e di Palazzo di Esanatoglia (p. 111). Serve un piano di sviluppo equo e sostenibile con investimenti pubblici e privati, che può servire di modello per tutta l’Italia utilizzando anche i fondi europei. Dopo anche l’emergenza sanitaria le questioni principali sono:
1 – riprendere in considerazione l’intervento pubblico sia nel settore sanitario sia in quello economico;
2 – ritorno alla centralità del welfare sociosanitario, territoriale, comunitario;
3 – irrinunciabilità della transizione verso la sostenibilità;
4 – fragilità delle aree urbane e suburbane di fronte all’epidemia;
5 – potenziare le infrastrutture per reggere il salto tecnologico di massa al digitale;
6 – problematizzazione dell’autonomia regionale differenziata;
7 – presa di coscienza da parte dell’Unione Europea della necessità di un suo intervento di fronte alle catastrofi naturali.
Vari saggi mettono in evidenza un altro settore da curare e potenziare, quello del turismo religioso (p. 30) che ha largo seguito, con la riscoperta delle antiche vie dei pellegrinaggi come la Via Lauretana (p. 46), che può coinvolgere politica-storia-cultura-cibo-ambiente, ricostruita con gli studi della citata professoressa Emanuela Di Stefano. Molto arrabbiata perché vista qualche disponibilità di finanziamenti si è cercato di infilare nel progetto Comuni che niente avevano avuto a che fare con tale strada.
Per restare nell’ambito della cultura, non basta riaprire i tanti piccoli musei, ma è necessario creare delle polarità capaci di gestire anche le strutture minori limitrofe con personale qualificato [abbiamo due corsi universitari in beni culturali: Urbino e Macerata]; ma sarebbe meglio dare vita ad una associazione regionale dei musei che si occupi di garantire i livelli essenziali dei servizi. Un caso emblematico potrebbe diventare Camerino con l’università, il museo diocesano, i musei civici, l’orto botanico e il futuro museo della scienza. Si può curare il paesaggio con il restauro delle chiese, delle torri e delle fortezze sparse nel territorio.
>> ma sarebbe necessaria anche un’opera di valorizzazione e di comunicazione che combatta l’idea della marginalità e della arretratezza dell’entroterra appenninico, per fare conoscere la centralità della cultura e dell’economia e della tecnologia di Camerino, di Pioraco, di Fabriano nel medioevo e nell’età moderna e creare un nuovo polo tecnologico nazionale e internazionale per sviluppare la ricerca sui grandi rischi naturali in collaborazione con il CNR, l’Istituto di geologia e vulcanologia, quello di Fisica Nucleare e altri ancora. Proporre anche i Sibillini, i “monti azzurri” quale bene UNESCO (pp. 107-114).
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