La Post Regione, per una palingenesi dell’Appennino centrale - di Pepe Ragoni*
L’Appennino tra cronaca e storia
Il libro di Daniele Salvi, edito da “Il
lavoro editoriale” di Ancona, raccoglie 65 suoi interventi ad altrettante
occasioni pubbliche nel corso dei 5 anni che vanno dall’estate 2015 a quella
del 2020, vale a dire il tempo in cui il nostro territorio, timidamente uscito
dalla crisi finanziario/economica 2008-2014, si trova travolto dalle altre due
catastrofi del terribile sisma 2016-2017 e della pandemia 2020; per dirla con
un’espressione di Ilvo Diamanti, riportata dall’autore, ossia il periodo in cui
le Marche scivolano verso Sud, “dall’Italia di mezzo all’Italia media”.
La composizione stratificata per mesi ed
anni dà modo di seguire le sue crescenti preoccupazioni nei confronti delle
problematiche che hanno causato lo spopolamento, il dissesto idrogeologico e la
marginalizzazione delle aree interne, collinari e montane, in particolare
dell’Alto Maceratese. La progressione di questioni affrontate ripetutamente negli
anni mette in luce la capacità e volontà di arricchire un background
umanistico con numeri, statistiche, confronti, paralleli e proposte.
Nell’insieme, la narrazione assomiglia
ad una accorata ricerca di palingenesi dell’Appennino centrale. Si ha infatti
l’impressione di assistere alla cronaca politico/economica di questi ultimi
cinque anni; politica, perché vengono illustrati gli strumenti di conoscenza e
gestione delle diverse problematiche e delle aspirazioni; economica, perché
queste devono essere ordinate e messe a sistema ai fini di una rinascita e di
uno sviluppo sostenibile del territorio.
Salvi scrive sempre più col cuore di un
uomo disperatamente legato alla sua terra, intellettuale per vocazione, ma
professionalmente impegnato a capire ed esporre i dati raccolti dalle quattro
Università marchigiane, e le relative prospettive di fattibilità indicate
dall’ISTAO.
Dicevo col cuore; l’autore, infatti,
mescola ai dati spogli delle statistiche e dei trend, entrambi riportati
con la precisione di un calligrafo, il respiro ampio delle sue numerose,
interessanti letture, molto spesso legate al periodo storico, basso Medio Evo e
Rinascimento, e alla signoria dei Varano che di questa area, dai monti al mare,
ha fatto un luogo di riferimento e di grande storia, nella grande storia.
E questo continuo riferimento alle
nostre radici a me è piaciuto molto.
In linea con questa profonda convinzione
- siamo ancora nell’estate 2015 - introduce il Medio Evo delle “rievocazioni
omologate” che riempiono l’estate di tutti i nostri Comuni.
Al di là e al di fuori di quello che può
essere l’aspetto fatuo di questo fenomeno, egli lo interpreta come un tentativo
di aggregazione civica, nella consapevolezza che in passato siamo stati grandi.
Sembrerebbe un discorso vacuo, ma invece proprio da qui esce fuori il fil rouge che unisce e personalizza
tutto il libro. La nascita dei Comuni nel Medio Evo rappresenta infatti la
forte innovazione rispetto al passato feudale, ovvero la capacità di volontaria
aggregazione di comunità e località distinte, che si assoggettano a un vivere
comune e costituiscono un’unica realtà amministrativa, più grande e più attrezzata
a rispondere alle nuove istanze di affrancamento degli individui e di
proiezione all’esterno dei prodotti del territorio, trasformati dagli
artigiani, commercializzati dai mercanti e sostenuti dalla sempre maggiore
presenza di cambiavalute.
Ecco, dunque, come il nostro Medio Evo
può offrirci utili insegnamenti.
Antesignano in questo senso è Giulio
Cesare Varano che, a fine Quattrocento, dopo aver ricostituito la città di
Camerino e il suo prestigio, si rende conto di quanto sia importante il
restauro degli edifici simbolo della comunità: il palazzo ducale, le dimore
della Signoria, le chiese, luogo per eccellenza di comunità, e infine la
razionalizzazione dell’assistenza a malati, pellegrini, e quant’altri
necessitanti di cure, costruendo a questo fine un grande Ospedale di città,
Santa Maria della Pietà, che andava a sostituire i numerosi “hospitales”
disseminati nel territorio.
Città dell’anima, “valle nascosta” e
Città Appenninica
Camerino è senza dubbio la città del
cuore e nel cuore dell’autore; la storia di Camerino gli serve per suffragare
le visioni di proiezione futura dell’entroterra.
Per esempio. Di fronte a quella che è
descritta essere la tendenza irreversibile nel mondo verso la concentrazione
dell’80% della popolazione in smisurate megalopoli, egli riprende in mano “La
Valle Nascosta”, o “Sinclinale Camerte”, un’ampia valle che unisce Camerino,
Matelica, Fabriano, longitudinalmente, rispetto all’andamento parallelo a
pettine delle altre vallate, sistemi collinari e fiumi che scansionano il
territorio della Marca d’Ancona. Si tratta di una ampia area, da sempre centro
di incontro e di scambio delle vie che arrivavano dal Nord verso Roma e da Roma
si dipanavano verso il Nord (Ancona – Venezia e oltre) e che da Roma e oltre
s’incamminavano verso il Sud (Regno di Napoli e oltre).
Al centro in questa valle, conosciuta
fin dall’antichità per traffici e imprese, Salvi colloca la sua avveniristica “Città
Appenninica”, una ben argomentata prospettiva di smart city, in
aggregazione alla “Città Adriatica” tramite la ramificazione programmata di una
smart land, che si può anche immaginare estendersi al di là
dell’Adriatico, “mare delle convergenze”, “area di mediazione delle diversità”,
e infine “mare regione”. In questo modo si costruirebbe un modello alternativo
di conurbation nella grande area dell’Italia mediana, dove l’Appennino e
la sua montagna, collegati, serviti dalle tecnologie, dotati dei propri servizi
infrastrutturali, ritornerebbero centrali, quale confine naturale verso Ovest,
senza per questo perdere la propria identità culturale, agroalimentare,
artigianale e imprenditoriale.
Sembrerebbe impossibile, ma anche in
questo caso l’autore riesce ad estrarre sapienza e fiducia nella fattibilità da
eventi storici che hanno visto protagonista la città di Camerino, ovunque
conosciuta per le sue produzioni di carta, lana, zafferano, scotano, e di
qualunque altra merce che fosse trasformabile dai suoi artigiani e trattabile
da suoi mercanti, con basi sparse dal Portogallo alla Turchia, da Firenze/Pisa
all’Inghilterra; in contatto e scambio con tutte le Signorie italiane, da
Venezia allo Stato della Chiesa, dal Regno di Napoli al Ducato di Milano, fino
ai due presidi adriatici dei Malatesta e dei Della Rovere, uniti alla casata
Varano da vincoli matrimoniali e dall’interesse geopolitico di mantenere la
politica dell’equilibrio disegnata da Lorenzo il Magnifico.
E ancora, parlando della rinascita del
territorio attraverso la promozione del suo immenso Bene Culturale, Salvi
parla, e ci ritorna più di una volta, di una chiesa rurale in territorio
camerte dalla quale è stato asportato un affresco di dimensioni cospicue
raffigurante il “Giudizio Universale”. Una testimonianza d’arte pittorica
davvero imponente, divisa in tre piani paralleli; in basso l’Inferno; in alto
il Paradiso; ma nel mezzo un corteo eccelso di persone illustri, nelle quali
sono stati ravvisati i personaggi d’alto rango con cui Giulio Cesare era in
contatto. Ora, perché posizionare in una chiesetta di passo una simile
descrizione autocelebrativa della Corte varanesca? Era intelligente promozione:
serviva a far capire a visitatori, mercanti, pellegrini e ospiti illustri, che
di lì dovevano passare per andare a Camerino, da quali illuminati governanti la
città era guidata.
Il che significa: solo rivalutando,
restaurando e promuovendo il nostro immenso patrimonio artistico, anche con
l’ausilio delle nuove tecnologie e con tutte le strategie della comunicazione,
potremo oggi, anche oggi, imporci all’attenzione del mondo. Non solo. Le scelte
che faremo nella ricostruzione di esso dovranno essere finalizzate al
raggiungimento di questo scopo.
Noi dobbiamo, infatti, prendere
coscienza che possediamo tutte le carte vincenti nei trend turistici
contemporanei, tendenti al rallentamento degli stili di vita e all’immersione
nei paesaggi naturali, estranei alle grandi vie di comunicazione.
Nel turismo religioso possiamo valerci
dello sfruttamento degli Itinerari mariani e francescani per creare cammini disegnati
tra testimonianze monumentali della storia dei nostri Borghi: Abbazie, Eremi,
Monasteri, Conventi, Basiliche, ecc.
Oltre i terremoti: infrastrutture,
sostenibilità, tecnologia e cultura
In questa costruzione virtuosa due
fattori ci aiuteranno: il completamento della “Quadrilatero” con la Pedemontana,
per uno scorrimento veloce nella Città-Territorio; e l’APE, l’Appennino Parco
d’Europa. L’Appennino resiliente ha resistito a terremoti ricorrenti sull’asse
Aquila – Valnerina, che sono puntualmente registrati dall’autore a partire da
quello dell’801, che coglie l’imperatore Carlo Magno di passaggio sulla via del
ritorno in Germania, fino al sisma del 2016-2017, di cui noi siamo stati
vittime. Ma come osserva ancora Salvi, “la frequenza dei terremoti non ha
impedito che i nostri territori esprimessero civiltà, bellezza, ricchezza e ‘grande
storia’”.
I terremoti, riportati dalla Istoria di Camerino del Lili, occasione
per l’esaltazione della forza d’animo del marchigiano abitante lungo il cratere
sismico, offrono anche il destro alla presentazione del carattere dei
Marchigiani, gente schiva e pragmatica, anche nelle formule architettoniche, in
quanto consapevoli della precarietà della terra. Da qui la famosa “medietà
marchigiana” che, nonostante tutto, ha partorito grandi spiriti che si sono
fatti largo nel mondo.
Viene portato ad esempio della capacità
di resistere, sopravvivere e convertire la catastrofe in opportunità, il
disastro naturale che sconvolse il mondo e nel 1259 arrivò a produrre le sue
tragiche conseguenze in tutta l’area camerte. Si trattava allora dell’eruzione
del vulcano Samalas in Indonesia, la cui nube densa al punto di oscurare il
sole provocò danni ai raccolti e alle semine, con una conseguente carestia
seguita da epidemie di polmonite e tifo petecchiale.
La catastrofe si collocava, inoltre,
nell’ultimo periodo della dinastia degli Hoënstahaufen, che si porta dietro
guerre e distruzioni proprio nei territori dove siedono il maggior nobile
ghibellino della Marca, Fidelsmido da Mogliano, e i suoi numerosi discendenti.
Proprio nel 1259, nell’occhio della catastrofe naturale, Percivalle Doria,
comandante delle truppe di Manfredi, il successore di Federico II di Svevia,
penetra in Camerino e la distrugge.
Proprio da quella catastrofe naturale e
bellica esce e s’impone l’astro dei Varano a Camerino, dove Gentile, esponente
di riferimento della casata Varano, per l’occasione “Capitano di Guerra” e “Podestà”,
mette in atto misure energiche per la ricostruzione fisica della città e
dell’autostima dei suoi abitanti, quasi una sorta di illuminato commissario
straordinario del tempo.
Dopodiché la nube passò, i campi
ripresero a donare i loro frutti e la città, rinnovata e più bella di prima,
era stata resa capace di affrontare i successivi tre secoli di storia, tra
successi e riconoscimenti.
Molte, innumerevoli sono le proposte di
ricostruzione e le idee di rinascita del territorio, alcune elencate
concretamente, come nel caso di Castelraimondo. Non potendomi però dilungare,
mi piace citare due istituzioni/riferimento che l’autore richiama sovente a
rafforzare la sua idea di Città-Territorio dell’Appennino Centrale Adriatico: l’Arcidiocesi,
risalente al IV secolo d.C., la più antica e la più vasta delle Marche, e l’antica
Università degli Studi.
Quest’ultima, impreziosita da un Polo
Tecnologico collegato alle eccellenze italiane e straniere, potrebbe fare la
differenza, e funzionare da volano, o come più piace a Salvi, da “pivot”
attrattivo e operativo che eviti il ripetersi dello spopolamento massivo al
quale si è assistito dopo la Seconda Guerra Mondiale, quando circa 300.000
abitanti delle zone interne lasciarono montagna e collina per emigrare sulla
costa.
Perché ciò non si ripeta, e per favorire
ricostruzione e sviluppo sostenibile dobbiamo assicurarci di poter offrire agli
abitanti sicurezza, lavoro, servizi di comunità (welfare, banda ultralarga,
comunicazioni su gomma e rotaia) condizioni queste indispensabili per attrarne
di nuovi.
(*Pepe Ragoni
Centro
Internazionale Studi Gentiliani – San Ginesio)
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