LA POST-REGIONE, PASSIONE POLITICA E PROGETTAZIONE DEL FUTURO - di Antonio Quagliani



Ho letto con piacere il libro di Daniele Salvi “La Post-Regione. Le Marche della doppia ricostruzione” edito da “Il lavoro editoriale” di Ancona nel 2020. Una raccolta di articoli apparsi tra il 2015 e il 2020 su diversi giornali locali: L’Appennino camerte, L’Azione di Fabriano, Il Corriere adriatico, il periodico Marca/Marche. Articoli che già per i giornali su cui sono apparsi, oltreché, per gli argomenti trattati, sembrano rivolgersi ad una comunità specifica, quella della sinclinale camerte che si estende da Camerino a Castelraimondo, Matelica, Cerreto d’Esi, Fabriano, ma con uno sguardo attento anche alla dimensione nazionale e internazionale, cogliendo connessioni con i problemi di quella comunità locale e della più ampia realtà delle aree interne della regione.

   Grande spazio trova la storia locale, specie dei Varano e di Camerino, la storia dell’arte, delle chiese e delle opere in esse conservate, la memoria di camerinesi di rilievo dei secoli passati (come Bernardo Bitti o Camillo Lili) ma anche di figure contemporanee di Castelraimondo (Alessandra Gariboldi), di Matelica (Alberto Bufali, a me caro), di Cerreto-Fabriano (Bartolo Ciccardini, a me ancora più caro). Non mancano riflessioni sul costume e sui cambiamenti locali dovuti ad eventi come il sisma del 2016. C’è poi un intento propriamente informativo su documenti e discussioni della politica regionale che raramente raggiungono il grande pubblico. Costante l’attenzione alla riflessione politica sul governo locale, su quello delle aree interne, sul governo regionale e su quello nazionale, sulla questione ambientale, sulle sorti della sinistra. Tutto trattato sempre con grande passione, per la propria terra, per la storia e la storia dell’arte, passione per la politica che potrei dire è il filo conduttore e lo sfondo che connota tutta la raccolta di articoli.

   Tra i temi che l’autore affronta per proporre i suoi spunti di riflessione uno in particolare mi stimola a prospettare qualche mia considerazione. Mi riferisco alla questione della aree interne, che nelle Marche assume anche caratteri specifici a causa degli eventi sismici che hanno devastato una vasta area compresa in prevalenza tra le province di Ascoli Piceno e Macerata. Sicché il problema generale dello sviluppo della zona appenninica della Regione e delle comunità locali che vivono a ridosso di essa, si intreccia inevitabilmente con quello della ricostruzione delle abitazioni, delle scuole, dei presidi sanitari e sociali, della chiese, dei teatri, delle attività economiche, di tutto quanto insomma le comunità locali avevano realizzato nel corso dei secoli e che il sisma ha completamente raso al suolo o reso inutilizzabile o comunque danneggiato.

   Il governo dell’emergenza “ricostruzione” nell’area del cratere sismico, giustamente affidato ad una gestione commissariale che negli ultimi tempi si sta finalmente rivelando particolarmente efficace, opera chiaramente in una prospettiva che è per sua natura temporanea, con una sfera di competenze limitata e comunque non generale, come richiesto invece dal governo per lo sviluppo delle comunità locali. Mentre procede la ricostruzione si ripropone la questione fondamentale di attivare una politica per superare le strozzature che frenano ogni possibilità di crescita in questo contesto: le piccole dimensioni dei comuni, il campanilismo, le politiche settoriali, la bassa densità demografica e degli insediamenti produttivi.

   Queste strozzature assumono oggi un rilievo maggiore che in passato data la rilevanza che hanno assunto i servizi pubblici e privati, destinati alle imprese e alle persone ai fini dello sviluppo economico, servizi che sono strettamente connessi con la concentrazione di popolazione e di imprese produttive. La terziarizzazione dell’economia dagli anni ’80 in poi ha prodotto una ulteriore gerarchizzazione e specializzazione delle aree territoriali, oltre quella che aveva già prodotto l’industrializzazione degli anni ’60 e ’70, e che era stata fronteggiata nelle aree interne con la politica dei poli industriali/artigianali. Ulteriore gerarchizzazione in funzione della sempre più sofisticata qualificazione tecnologica delle attività di produzione e di servizio.

   Il Rapporto sull’imprenditorialità nelle Marche, curato nel 2020 dalla Fondazione Merloni e dall’Università di Ancona ha messo in chiaro come la distribuzione geografica delle imprese high-tech manifatturiere e di servizi si concentra nei principali comuni e nelle aree costiere. Come altresì le start-up innovative e le spin-off universitarie registrano un’alta concentrazione lungo la fascia costiera e nelle principali aree urbane. E’ su queste aree che si concentrerà negli anni a venire l’azione di sostegno da parte delle politiche nazionali e regionali, delle associazioni di categoria, delle banche nazionali che si stanno candidando già a fare da protagonisti in questo processo. Azioni che punteranno alla attivazione di operatori che favoriscano le partnership produttive, commerciali, finanziarie, alla facilitazione dell’accesso agli strumenti di finanza innovativa, al potenziamento delle infrastrutture digitali e materiali.

   Come connettere le aree interne a questo processo? Non è che possiamo pensare di costruire un’alternativa in scala ridotta alle aree leader, sperando di portare all’interno quei servizi e quelle produzioni più sofisticate, perché mancano le basi di quell’ecosistema imprenditoriale, a partire dalla densità demografica e degli insediamenti produttivi. Ma possiamo pensare di puntare alla connessione con quanto matura nelle aree leader, attraverso il sostegno delle iniziative di trasferimento dell’innovazione, anche tra settori diversi, il sostegno delle Associazioni di categoria veicolo delle innovazioni verso le piccole imprese, attraverso il potenziamento delle infrastrutture digitali e materiali. Ad esempio, sarebbe utile che il pubblico promuovesse l’infrastrutturazione digitale delle aree interne, che non sono al centro degli investimenti degli operatori delle telecomunicazioni, in modo che fosse indifferente la localizzazione ai fini di una efficiente comunicazione telefonica, televisiva, informatica. Come sarebbe utile una strategia nella realizzazione delle vie di comunicazione che risolva i nodi più importanti di rafforzamento della rete viaria, come in parte sta facendo il procedere della Pedemontana, con lo scopo di riammagliare (come direbbe Renzo Piano) le aree periferiche tra loro e con le aree leader. E sarebbe altresì utile una strategia di organizzazione territoriale di rafforzamento di alcuni nodi spontanei già individuabili della rete dei servizi di base: scuole, presidi sanitari e sociali, uffici postali, sportelli bancari, servizi di consulenza e assistenza informatica, e se necessario di individuazione di nuovi nodi da strutturare, per dare consistenza il più possibile uniforme ad una rete che presidi il territorio attraverso un’offerta di servizi di base economicamente sostenibile e di qualità migliore.

   A mio avviso a questo punto bisogna affrontare la questione fondamentale: chi può attivare a livello locale quel coinvolgimento di diversi attori istituzionali e sociali, dei vari stakeholders pubblici e privati (quella che oggi si chiama “governance”) che serve per pensare, decidere, realizzare una politica di sviluppo che mobiliti il territorio intorno ad un progetto comune? Dove si trova un soggetto istituzionale (“governement”) titolare di direzione politica competente su un’area sovracomunale che può attivare quella “governance” per affrontare problemi che sono perlopiù di scala sovracomunale e trovano nella frammentazione dei soggetti istituzionali e nel campanilismo un ostacolo formidabile? Dove si trova una classe dirigente politica e sociale che ragioni sui problemi ad una scala che va oltre il singolo comune ed abbia la cognizione della complessità territoriale dei problemi?

   Ritengo che un livello istituzionale sovracomunale sia il passaggio necessario per governare i processi che si prospettano per le aree interne e per formare una classe dirigente adeguata allo scopo. Si può discutere l’adeguatezza oggi degli ambiti territoriali delle Unioni Montane e delle Province, ma sostituirle con Associazioni volontarie di Comuni mi sembra proprio insufficiente. E non si può pensare ad un livello sovracomunale senza mettere mano alla ripartizione delle competenze urbanistiche, senza le quali non si governa alcun processo di organizzazione territoriale.

   Il libro di Daniele Salvi ha avuto per me il merito di andare oltre le politiche dell’emergenza post-terremoto e di iniziare ad interrogarsi sulle possibili politiche di sviluppo per le aree interne della Regione, cogliendo giustamente la stretta interdipendenza tra il destino delle aree interne e le prospettive dell’intera regione. Un destino comune che si gioca sull’organizzazione territoriale, sulla qualità urbana, sulla qualità della vita di una comunità regionale che rischia di sfilacciarsi e sfilacciandosi di impoverirsi.

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