LA POST REGIONE, TRA DESTINO DELLE AREE INTERNE E SEGNI DI SPERANZA - di Massimo Sargolini
Ho avuto
modo di leggere il libro “La Post Regione” di Daniele Salvi, edito da Il Lavoro
Editoriale. E’ un “diario di bordo”,
come l’ha definito il sottosegretario al MISE, On. Alessia Morani, in occasione
della presentazione pubblica avvenuta a Camerino lo scorso 16 ottobre presso
l’Auditorium Scuola della Musica ABF “Franco Corelli”.
Il
volume racchiude gli avvenimenti più salienti dell’ultimo quinquennio di vita
della nostra regione attraverso una selezione di articoli già pubblicati
dall’autore sul web e su quotidiani,
periodici e riviste di rango e diffusione diversa, tra i quali anche
L’Appennino Camerte.
Si
tratta di un’operazione editoriale non facile, perché si sarebbe potuta
risolvere in un insieme non coerente di tanti approfondimenti diversi, come
spesso è accaduto per esperienze simili. Invece, il risultato è per certi versi
inaspettato.
La
prima impressione è quella di una raccolta di saggi scritti da un autore colto,
avido di buone letture, la quale consente a ciascun lettore di scegliere i
titoli che destano più interesse. Per chi la vorrà leggere tutta, come mi è
capitato di fare, emerge invece un’altra immagine, una sorpresa molto gradita.
Prende forma un quadro organico di temi tra loro relazionati a scale e livelli
diversi di approfondimento.
Questo
quadro si materializza in un avanzamento graduale del pensiero dell’autore,
molto attento ai segni dei tempi, che non può fare a meno di legare questioni e
tensioni locali a visioni più estese e globali. Si tratta, tuttavia, di una
consequenzialità implicita, tutta propria del modo di essere dell’autore, il
quale immagina un mondo che, per lui, parte dalla sinclinale camerte, la terra
che egli ama profondamente, ma che finisce per non avere confini, almeno
geografici.
L’incipit del libro può essere parafrasato
con le parole di Marguerite Yourcenair in “Memorie di Adriano”: “Tornare a
prendersi cura della terra”. L’autore riporta le parole conclusive del discorso
di Papa Francesco tenuto davanti ai movimenti popolari della Bolivia: “il
futuro del mondo è soprattutto nelle mani dei popoli, … l’importanza di non
arrestare il processo di cambiamento per una maggiore equità, … ed abbiate molta cura della Madre Terra”.
In
questo passaggio di apertura, c’è tutto quello di cui Salvi ci parlerà. I temi
scorrono in una progressione strettamente legata al presente che, come ci dice
Sant’Agostino, è sempre
“presente di un passato” (e qui c’è il grande tema del continuo innovarsi del
mio modo di vedere il passato), e “presente di un futuro”, che ipotizzo ora e
che quindi prende senso nella misura in cui ha una connessione concreta con il
presente.
Si
parte dal 2015, quando decolla il finanziamento delle aree interne, di cui l’autore
non parla astrattamente, ma lo collega subito ad esempi di valorizzazione di
alcune risorse storico-architettoniche da cui potrebbe discendere uno sviluppo
locale a traino culturale. Coglie il senso e il ruolo strategico delle comunità
per il rilancio di questi territori, ripensando il Medioevo come periodo storico che segna
l’origine della comunità. Nel pillar
dello sviluppo delle aree interne c’è la riflessione sul made in Italy e sul legame tra manifattura e cultura come tratto
profondo della “coscienza dei luoghi” e prospettiva per uno sviluppo più
robusto.
Si
arriva al 2016 con due temi che possono sembrare contrapposti, ma sono in realtà
intimamente connessi: l’inaugurazione della SS77 e il ventennale del progetto Appennino
Parco d’Europa (APE). Entrambi i fatti, se ben equilibrati, possono concorrere
al rilancio delle aree interne, viste come riconnessione tra locale e globale
attraverso l’aggancio tra lento e veloce, come suggerito dall’integrazione con
i cammini culturali come la via Lauretana nelle sue diverse versioni.
Il 2016 è, però, l’anno del sisma e qui la
riflessione subisce un’accelerazione, senza soffermarsi, se non episodicamente,
sui danni del sisma (dove pure ci sarebbe molto da dire), ma concentrandosi fin
da subito sulle “prove tecniche di rinascita”. Alla base c’è l’esigenza che il
territorio sappia rispondere alla “prova” cui è stato chiamato, che per Salvi rappresenta
un vero e proprio experimentum crucis
del suo destino, come indicato dalla famosa frase di Esopo: “Hic Rodhus, hic
salta!”. Per tentare di farcela, in questa sfida epocale, c’è però bisogno d’impegno
e per questo si passano in rassegna una serie di personalità non tutte note,
anzi, della cultura, della politica, dell’arte, marchigiane e non, che a
diversi livelli e in differenti periodi storici hanno cercato di trasformare il
mondo per migliorare le condizioni di chi vi abita. Ogni cosa sembra convergere
verso l’esigenza di infondere coraggio e speranza nella certezza che “sapremo
ricominciare”, così Salvi titola un articolo del 2017, dopo aver descritto lo
straordinario carattere dei marchigiani, alla continua ricerca di ciò che è
essenziale (e funzionale) e che è “rintracciabile persino in quel tipico e
ordinato modo di forgiare il paesaggio”. Da qui prendono le mosse anche le
riflessioni sul ruolo dell’università come “infrastruttura della rinascita”,
sulle città delle Marche e sull’insegnamento di grandi figure come Fuà,
Olivetti e Mattei.
Il 2018 è l’anno delle nuove aspettative
per queste terre martoriate, legate all’approvazione all’unanimità da parte del
Consiglio Regionale delle Marche della ricerca delle quattro università
marchigiane (coordinate da UNICAM) “Nuovi sentieri di sviluppo per l’Appennino
Marchigiano dopo il sisma del 2016”. Salvi mette in luce il grande ruolo che
potrebbe avere il patrimonio culturale nella ricostruzione post sisma, e riserva
un’attenzione speciale a Camerino ed a quell’area di confine con Castelraimondo
e Pioraco (area di Torre del Parco - Castello di Lanciano), dove un progetto di
valorizzazione integrata di beni naturali e culturali, aree agricole e
produttive, potrebbe offrire nuove visioni e reali prospettive di sviluppo.
Il 2019 è segnato da nuovi orizzonti di
speranza offerti dalla visita di Papa Francesco alle zone terremotate. Coglie
l’importanza della designazione del vescovo di Camerino-San Severino Marche,
don Francesco Massara, ad amministratore apostolico e vescovo anche della
diocesi di Fabriano-Matelica. Sullo sfondo sempre l’importanza di una visione
condivisa della sinclinale camerte, che si lega ad una più generale riflessione
sul policentrismo delle Marche, uno straordinario tema urbanistico della
contemporaneità, e sulla rivisitazione del rapporto tra edificato di costa,
aree periurbane e aree interne. Facendo cenno al Green New Deal, immagina un nuovo equilibrio tra aree urbane, aree
rurali e aree interne. Non è il ritorno incondizionato ai borghi, come sembra
emergere dagli slogan di alcune archistar, originati dalle reazioni
emotive alla crisi sanitaria in atto. Salvi coglie la complessità del ritorno
ai borghi dell’entroterra. Nulla potrà avvenire senza aver affrontato, con
lucidità e determinazione, l’esigenza di nuove infrastrutturazioni,
potenziamento dei servizi, superamento del divide
digitale e nuovi investimenti per lo sviluppo economico, in stretta coerenza
con i caratteri fondanti dei luoghi.
Gli ultimi passaggi del 2020 sono riservati
alla pandemia. Sono tempi troppo vicini per essere commentati. Vorrei citare un
solo articolo dell’autore: “Se smettessimo di chiamarla guerra?”. Riprendendo
le parole di Cancrini, Salvi scrive: “siamo sicuri che questa guerra sia stata
dichiarata da qualcuno o piuttosto non siamo stati noi a dichiararla?”,
cogliendo così il reale dibattito che coinvolge in questo momento l’intero
pianeta sul grande tema della transizione verso la sostenibilità.
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