ZES: PARTI UGUALI TRA DISEGUALI? ANCHE NO.



Innanzitutto bisogna riconoscere che il Governo ha mantenuto la promessa fatta in campagna elettorale relativa all’estensione della Zona economica speciale unica del Mezzogiorno alle regioni Marche Umbria, stanziando anche le risorse per la copertura finanziaria dell’anno corrente.

I timori di un iter lungo e accidentato, la mancata adozione di un decreto con le relative risorse, sono state fugate dal rapido percorso parlamentare ed ora l’operatività dello strumento di semplificazione burocratica, agevolazione fiscale e modernizzazione infrastrutturale è reale.

L’opposizione in Regione e in Parlamento dovrebbe rivendicare che grazie alla propria azione incalzante nei confronti dei Governi regionale e nazionale quella che sembrava essere una promessa tutta elettorale è diventata, invece, opportunità concreta.

Bene, quindi. A questo punto altre sono le questioni da mettere sotto i riflettori per consentire una attuazione ed una fruizione della Zes a beneficio della comunità regionale.

In tal senso occorre partire dallo scopo per cui sono nate le Zes e in particolare la Zes Unica che ha assorbito le otto Zes precedenti, tutte collocate al Sud. Nate per agevolare l’attrazione di investimenti in aree delimitate e funzionalmente connesse ai porti, così da stimolarne lo sviluppo, nella versione italiana - con la revisione della Zes Unica del Mezzogiorno - si è di fatto voluto creare una grande area non solo nazionale, ma continentale, che grazie alla sua posizione geografica svolgesse una funzione logistica nei traffici mediterranei nord-sud, est-ovest.

L’obiettivo era e resta quello dello sviluppo di un’area bisognosa di recuperare il differenziale che la separa dal centro-nord del Paese e dal resto delle regioni europee, grazie ad un regime agevolato capace di attirare investimenti produttivi. I risultati ottenuti finora sono interessanti e il cavallo avrebbe bisogno di molta più acqua di quella che sta bevendo. Per il 2026 le risorse stanziate sono 2,3 miliardi, per il 2027 un miliardo, per il 2028 soltanto 700 milioni.

Il dibattito che si sta innescando in queste settimane nelle Marche tende a sottolineare un aspetto su tutti: i Comuni che sulla base della Carta degli aiuti regionali, definita ad inizio della corrente programmazione europea 2021-2027, possono usufruire dell’agevolazione fiscale del credito d’imposta e, conseguentemente, quelli che ne sono esclusi.

Infatti, tutti i Comuni della regione possono usufruire delle semplificazioni amministrative che consentono l’autorizzazione unica per gli investimenti in tempi celeri, con procedure unificate e digitalizzate, mentre soltanto 124 su 225 possono avvantaggiarsi del credito d’imposta.

Le rassicurazioni del Governo regionale e le controproposte dell’opposizione si affannano a dire che la Carta degli aiuti verrà rinegoziata in vista della prossima programmazione 2028-2034 e che l’intento deve essere quello di assicurare a tutto il territorio anche il credito d’imposta, inserendo nuovi Comuni e prevedendo aree agevolate nelle zone industriali e artigianali di tutti i Comuni.

Un discorso a parte meritano il porto di Ancona, che dovrebbe essere destinatario almeno di una Zona franca doganale, e la piattaforma logistica regionale (nodo ferroviario, aeroporto, interporto) per la valenza interregionale che hanno e perché l’estensione della Zes unica non diventi una annessione di fatto all’ecosistema meridionale con cui non abbiamo storicamente relazioni, né consuetudini. L’esclusione del porto, che ha le caratteristiche di Autorità di sistema ed è connaturato all’idea stessa di Zes, rappresenta obiettivamente un vulnus da sanare.

Diverso è il ragionamento che, invece, fa dimenticare improvvisamente a tutti che la nostra è una regione a doppia velocità, tra nord e sud della regione, tra costa e aree interne, e con un centro-sud dove si sono concentrate non a caso le aree di crisi complessa (fabrianese, fermano-maceratese, piceno-val vibrata) e la cui situazione è stata aggravata dal sisma, i cui danni sono stati quantificati in circa 30 miliardi di euro.

Dimenticare tutto questo per fare parti uguali tra diseguali mi sembra improponibile, per non dire impresentabile. Le Zes hanno l’obiettivo di favorire lo sviluppo in presenza di divari territoriali e disuguaglianze da ridurre attraverso meccanismi di agevolazione. La graduazione tra semplificazioni e agevolazioni fiscali che la Zes attualmente garantisce all’interno del contesto regionale può essere dibattuta, ma non per dotare le aree più forti degli stessi strumenti di quelle più deboli.

Bisognerebbe, inoltre, concentrarsi su che cosa prevedere nell’aggiornamento del Piano strategico della Zes unica, che dovrà includere anche Marche e Umbria; quali filiere incentivare, quali tecnologie promuovere, quali connessioni infrastrutturali rafforzare, quali misure aggiuntive e complementari mettere in campo, oltre a quelle previste dalla Zes, e che possono venire sia dalle Regioni con la programmazione dei fondi strutturali (es. incentivi alle assunzioni) e di sviluppo e coesione (es. infrastrutture), sia da misure nazionali, come ad esempio quelle già attive nell’area del cratere sismico (es. ‘Resto al Sud’).

Insomma, esercitarsi per il buon avvio e la riuscita della Zona economica speciale nelle due regioni in transizione del centro Italia meriterebbe di coltivare l’analisi delle disuguaglianze che le caratterizzano, insieme a delle proposte che siano coerenti e di merito. Senza campanilismi o misure a pioggia, capaci soltanto di vanificare l’utilità dello strumento.


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